Todos Innovadores? Sì, ma con giudizio (e i giusti partner)

Innovazione_tecnologicaLode all’intelligenza artificiale, panacea risolutiva di tutti i mali aziendali (o quasi), e fautrice di iperbolici risparmi sui costi, basati sull’adozione di tecnologie abilitanti un’automazione totale che solleva management e dipendenti dalle preoccupazioni quotidiane… Sicuri che sia proprio così?

La diffidenza e il disincanto che purtroppo seguono talvolta al fallimento (totale o parziale) dell’introduzione di tecnologie innovative dovrebbero far riflettere le aziende sulla ragione di questo risultato deludente. Vale la stessa regola per i fornitori di tecnologia, il cui ruolo è di aiutare il cliente-azienda nella diagnostica preliminare delle necessità effettive, e soprattutto dello stato di maturità tecnologica sul quale innestare il processo.

Per ciò che riguarda le aziende, possiamo utilizzare come acid test preliminare alcune semplici domande, ricordando che il miglioramento si basa sul buonsenso pratico e non sulle teorie altisonanti – soprattutto quando sono in gioco investimenti pesanti in termini di costi organizzativi e di impatto sulla clientela.

Il ruolo dei fornitori è poi strategico considerando che il fine non è vendere a tutti i costi ma erogare intelligenza reale, non solo artificiale. Vediamo come possiamo contribuire a questo processo, con un riguardo particolare ai soggetti che operano nella parte tech al momento meno consolidata, che comprende anche le tecnologie vocali.

Siamo veramente un’azienda tecnologicamente matura?

Un’azienda deve avere una conoscenza approfondita e realistica della propria maturità tecnologica e digitale all’inizio del percorso di innovazione, per poter scegliere con cognizione di causa le soluzioni più adatte, concretamente accessibili e implementabili, evitando gli innamoramenti insensati o l’ansia di copiare il concorrente.

Allo stesso modo, non è possibile innestare un’innovazione spinta su un tessuto organizzativo che si trascina dietro inefficienze farraginose, senza voler agire prima sulla diagnostica dei processi tecnologici e delle reali risorse umane interne sulle quali contare. Occorre quindi lavorare preventivamente per la risoluzione di questi problemi, prima di iniziare qualsiasi processo esterno.

La tecnologia abilita ma non crea, e nessuna azienda è uguale all’altra; per questo un “pacchetto innovativo” standardizzato non può compiere miracoli identici in contesti differenti. L’intelligenza artificiale va quindi recepita quando si sposa al meglio con il capitale umano, procedurale e tecnologico presente in azienda. Certo, un livello significativo di challenge va inserito nel progetto, ma deve essere coerente con i fini perseguiti e realistico in termini di ROI economico.

Che cosa vuole davvero il mio cliente? E dove lo acquista?

Siamo certi di conoscere bene la nostra base clienti, quali siano i segmenti di maggiore redditività e di sapere dove agire per aumentare il volume delle nostre vendite? Il primo passo è capire che cosa ci sta chiedendo il mercato – il nostro mercato – per non adottare politiche di sviluppo tecnologico inutili che non serviranno a niente e a nessuno, se non a crearsi alibi per non investire in un futuro, e quindi rimanere definitivamente al palo.

Una prima analisi dei dati cliente, e soprattutto dei canali utilizzati con relativo calcolo costi/benefici, è quindi obbligatoria. In mancanza di queste informazioni, il primo passo potrebbe essere adottare una soluzione di data analytics (e professionisti in grado di interpretarli), inseribile poi in modalità agevole anche nella futura e più ampia architettura di Customer Management.

Aggiungiamo anche la possibilità di effettuare ricerche di mercato specifiche per utilizzare i dati raccolti presso il cliente, e sfruttarli per comprenderne e segmentarne la struttura. Ferma restando la tutela della privacy, al cliente è ora data la possibilità di manifestare le proprie preferenze di acquisto in modalità naturale, mediante una lettura ragionata delle variabili collegate a canale, orario, scontrino medio ecc., influenzando quindi potenzialmente le scelte aziendali. Saper interpretare questi dati, e tramutarli in innovazione di business, significa intraprendere un percorso reciprocamente premiante di relazione con il cliente.

Nell’ottica omnichannel, ormai sdoganata nelle principali aziende client-centric, dovremmo anche avere il coraggio di ridurre o eliminare prodotti e/o canali di vendita poco redditizi, spostando (e formando) le risorse umane e finanziarie verso i segmenti di maggior peso, sui quali saranno poi convogliati i progetti di innovazione.

Procedere a marce forzate graduali

No, non è un controsenso! Stabilire una scalabilità di obiettivi da perseguire, con la possibilità di checkpoint intermedi per valutare efficacia ed efficienza delle azioni intraprese – e correggere il tiro quando necessario – significa capire l’importanza di un piano di sviluppo in grado di sopravvivere nel medio-lungo periodo.
La scalabilità vale sia per la dimensione che per il contenuto del progetto, insieme alla scelta di fornitori tecnologici in grado di assicurare l’approccio voluto e alla creazione di un team congiunto azienda/azienda tech “disruptive” per seguire lo stato di avanzamento del piano innovativo.

Partner per l’innovazione

Siamo quindi ora alle società in grado di fornire gli strumenti di digitalizzazione, intelligenza artificiale, innovazione o comunque li si voglia definire; al di là della delivery tecnologica, qual è il vero valore aggiunto che possono dare alle aziende?

Paragoniamo questo processo alla ristrutturazione di una casa: possiamo scegliere un appaltatore generalista, che si occuperà poi (direttamente o attraverso terzi) della gestione globale, oppure rivolgerci a specialisti per effettuare migliorie mirate su aspetti specifici. Ambedue gli approcci sono leciti ed efficaci: con il primo l’azienda è più rilassata nelle attività quotidiane, ma meno protagonista del processo di controllo dei singoli, mentre il secondo porta a risultati di livello qualitativo molto più alto, con però un tasso di coinvolgimento aziendale decisamente più elevato. Il fornitore boutique ha un rapporto con il cliente molto più personalizzato, oltre che competenze tecniche mirate alla tematica da approfondire; il suo dovere professionale sta nello stringere partnership con altri attori tecnologici in grado di garantire al proprio cliente una gamma di servizi completa e di alta professionalità. Inoltre, deve definire chiaramente con il cliente il caso d’uso più adatto e in grado di garantire il successo dell’iniziativa.

La scelta da parte dell’azienda cliente di uno dei due approcci può dipendere da molti fattori, non solo tecnologici e/o economici: la struttura interna, l’abitudine e la fiducia in un partner o in uno stile di lavoro, la potenziale ripetizione di una storia di successo – tutto questo ha un’importanza forte e legittima. L’innovazione si basa sull’oggettività dei risultati pregressi, ma anche sulla “chimica” delle parti; in questo la fornitura di tecnologia è equiparabile a quella di qualsiasi altro prodotto fisico o intellettuale.

Nel caso delle tecnologie vocali questo procedimento è ancora più importante, soprattutto perché – in quanto “alleate” della Customer Experience – devono essere le prime a creare un rapporto di fiducia totale con i propri clienti. Per gran parte delle aziende, infatti, questi strumenti sono del tutto nuovi, e quindi non esistono parametri storici per valutare gli effetti economici e organizzativi e i vantaggi derivanti da una soluzione vocale.

Proprio per questo la missione è di lavorare con l’azienda per definire indicatori e fattori chiave di successo, conseguire risultati duraturi ed economicamente significativi, e quindi aprire la porta a innovazioni davvero profonde, per fidelizzare il cliente stesso. La sintonia completa è cruciale: il fornitore ha il dovere di guidare l’azienda, e addirittura di saper rinunciare a una commessa quando il progetto sia irrealizzabile o non traducibile in una innovazione di successo. Nessun guadagno può ripagare la perdita di reputazione, e questo vale per tutti.

Lo sforzo preventivo è quello di scegliere partner affidabili, tecnologicamente preparati ma soprattutto eticamente capaci di seguire le buone pratiche della gestione della commessa. Rispetto dei vincoli temporali, degli standard qualitativi e della corporate identity dell’azienda: quando tutto questo si verifica, è molto probabile che il cliente ritorni, chiedendo un nuovo progetto o una continuazione e diventando un alleato vero. La massimizzazione del reciproco vantaggio non è opportunismo sterile, ma utilitarismo positivo in grado di migliorare il mercato e costruire una nuova fiducia nell’innovazione.

Rosa Maria Molteni
Marketing and Communication Manager, Spitch Italy

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