Come essere l’azienda proattiva che il cliente si aspetta

Nel 2019, l’87% dei clienti intervistati da Frost & Sullivan durante un’indagine dedicata al customer service ha dichiarato di valutare positivamente ogni azienda in grado di dimostrare proattività nelle relazioni, anticipando i bisogni e risolvendo i problemi prima ancora che venissero scorti.

Sono passati tre anni, ma la predilezione per queste aziende chiaroveggenti non è stata minimamente scalfita, anzi: secondo Gartner, entro il 2025 la proattività costituirà il discrimine per distinguersi dai competitor sul mercato.

Ovviamente dietro alla capacità di prevedere e anticipare azioni, preferenze e cause di insoddisfazione dei clienti non c’è nulla di paranormale, ma semplicemente la capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare informazioni accurate sul loro conto, lungo tutto il loro ciclo di vita, integrandole in una vista unica che rappresenti in modo capillare e sempre aggiornato il profilo composito di ciascun cliente, senza perdere nessun dettaglio.

Se questa attenzione ai minimi particolari sembra eccessiva, basta ricordare che i clienti tributano un sempre maggiore apprezzamento alle aziende che dimostrano di conoscerli in modo approfondito, conoscenza che peraltro è indispensabile per sostenere un approccio proattivo efficace e di effettivo valore.

Che non sia più tempo di una personalizzazione “a grandi linee” – in cui il singolo cliente non riceve una comunicazione plasmata esattamente sulle sue preferenze e sulle sue esigenze, ma piuttosto su ciò che tendenzialmente risulta gradito e utile a profili simili al suo – lo ha evidenziato alla fine dello scorso anno anche Google, sottolineando come le aziende debbano ora concentrarsi sulla valorizzazione dell’identità intersezionale di ciascun individuo. 

Focalizzarsi sull’identità intersezionale significa sviluppare un approccio e una mentalità adeguati a rispondere a un trend consolidato tra i clienti a livello globale, che si dichiarano più propensi ad affidarsi a un’azienda capace di farli sentire rappresentati e riconosciuti in un modo che comprende più sfumature, quindi secondo una modalità in grado di valorizzare e dare espressione alle loro esperienze e prospettive reali e variegate.

Prestare attenzione alla natura intersezionale dell’identità individuale – frutto quindi della combinazione dinamica e mutevole di una serie di fattori personali e sociali, che ne determina l’evoluzione nel tempo – significa non solo rispondere a un’aspettativa dei clienti, ma anche assicurarsi il punto di partenza migliore per raggiungere livelli di proattività sempre più avanzati.  

Restando profondamente sintonizzate sui consumatori, sulla loro evoluzione e su quella della società in cui vivono, infatti, le aziende possono non solo iper-personalizzare le esperienze presenti, ma anche dedurre e anticipare i trend e le esigenze future, riducendo al minimo le azioni e gli sforzi che il cliente stesso deve compiere per raggiungere i propri obiettivi – con il rischio che, nella fase di ricerca, si rivolga a un competitor maggiormente allineato alle sue necessità.

Identità intersezionale, il trampolino di lancio del proactive outbound engagement

La vista privilegiata che la moltitudine di dati e canali disponibili permette di sviluppare sull’identità intersezionale dei clienti è quindi la chiave per sviluppare una capacità proattiva in grado di soddisfare le loro aspettative e consolidare la loyalty.

Da qui è possibile sviluppare una strategia di proactive outbound engagement attraverso la quale coltivare una relazione 1to1 con ciascun cliente, prevenendo i problemi, anticipando i bisogni e offrendo un’esperienza iper-personalizzata, coerente e a valore aggiunto attraverso ogni canale e lungo tutto il customer journey.

McKinsey sostiene che attraverso un approccio proattivo le aziende possano accrescere il customer lifetime value dei loro clienti, ridurre i costi di gestione dei contatti inbound, migliorare i livelli di engagement e la first contact resolution, nonché le metriche NPS, CSAT e CES.

A livello operativo, il proactive outbound engagement dipende principalmente da dati, intelligenza artificiale e machine learning. La combinazione di questi elementi è ciò che permette alle aziende di prevedere bisogni, problemi e azioni dei clienti, di connettere comportamenti e obiettivi, di definire per ciascuno la next best action, di individuare nuovi trend senza far lievitare i costi e garantendo coerenza, fluidità e scalabilità all’intero processo.

«La netta preferenza che i clienti ormai accordano a personalizzazione e immediatezza, insieme al desiderio di non essere trasformati in rappresentazioni senza spessore e catalogati in modo statico nei database aziendali, fa capire alle aziende quanto siano prioritari gli investimenti in tecnologie capaci di estrarre informazioni accurate e in real-time da ogni singola esperienza e interazione dei clienti, dal sentiment e dalle loro azioni, se l’obiettivo è quello di presentarsi ai loro occhi come partner affidabili in grado di comprendere ogni bisogno, presente e futuro, garantendo un’esperienza davvero effortless» sottolinea Andrej Carli, country leader Italia di Talkdesk. «La proattività si sta ritagliando un ruolo decisivo nell’assicurare la fedeltà e la soddisfazione dei clienti nel tempo, sostenuta dalle funzionalità sempre più avanzate di data mining, customer intelligence, multicanalità e automazione basata sull’intelligenza artificiale che potenziano le iniziative e le comunicazioni aziendali, permettendo alle aziende di coltivare una vicinanza sempre più stretta con le persone, prima ancora che con i clienti, e di raggiungere così il nuovo traguardo di quello che in Talkdesk definiamo “holistic customer life journey”».

Per saperne di più, compila il modulo e guarda il video a questo link: CX “Munch& Learn”: liberare il potenziale degli agenti con una gestione proattiva dei collaboratori

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