Equilibrio tra personalizzazione e privacy

Personalizzazione e Privacy 1 di 2

A conclusione della nostra serie di approfondimenti sulle strategie di personalizzazione e sulla costruzione della customer knowledge, dedicheremo due articoli al tema della privacy e della sicurezza dei dati.  Argomenti che, come vedremo, vanno ben oltre al rispetto delle leggi vigenti e alle preoccupazioni legittime degli studi legali.

È in gioco l’essenza della relazione con il cliente che si nutre di fiducia. Molte ricerche hanno fatto emergere quanto le persone siano sempre meno inclini a tollerare la noncuranza o la trascuratezza nel gestire le informazioni. È qualcosa che non si perdona neppure ai marchi per i quali si nutre una certa preferenza e predilezione.

Un equilibrio difficile

Già qualche anno fa,  McKinsey aveva rilevato che il 71% dei consumatori si aspetta interazioni personalizzate, e il 76% dichiara che se non è soddisfatto dell’esperienza cambia brand. Questo potrebbe far pensare che ci sia una generale predisposizione a fornire le informazioni necessarie affinché possa essere realizzata questa esperienza personalizzata.

La realtà è più complessa. Una recente ricerca di Gartner sul marketing multicanale ha dimostrato che mentre esiste un rischio legato alla scarsa personalizzazione, c’è anche quello opposto dovuto all’eccessiva personalizzazione e all’essere percepiti come inappropriati o inquietanti dal proprio target.

Dal canto loro, gli studi di Google e Ipsos, che hanno coinvolto migliaia di persone in tutta Europa, hanno messo in evidenza le ripercussioni che un’esperienza di privacy negativa o scadente può generare, fino alla perdita irrimediabile della fiducia della customer base.

I dati raccolti indicano una diminuzione della fiducia nel brand pari al 35%, con il 39% del campione intervistato che si dichiara pronto a passare a un concorrente, percentuale che sale al 44% nel settore travel.

Preoccupati e confusi

Dalla lettura delle ricerche citate emerge un quadro piuttosto contraddittorio dell’atteggiamento delle persone sul tema privacy. Se da una parte la maggioranza ritiene che sia inevitabile perdere un po’ della propria privacy, dall’altra emerge una vera e propria preoccupazione sull’uso che le aziende possono fare delle informazioni in loro possesso.

Inoltre, non di rado i comportamenti e le azioni dei clienti sono in aperta contraddizione con le loro dichiarazioni sulla privacy e sul tipo di esperienza che vorrebbero vivere con le aziende, così come con le loro reazioni emotive alle azioni di personalizzazione online.

Le opinioni che vengono espresse in merito alla privacy sono spesso frutto di una pressione sociale che spinge a riconoscere la validità di affermazioni come “La privacy dei dati è qualcosa di cui le persone dovrebbero preoccuparsi”, anche se poi nella pratica non si fa nulla di particolare in proposito, né si ha ben chiaro in mente per quale motivo si dovrebbe nutrire preoccupazione.

Infatti a fronte del 73% degli intervistati da Google e Ipsos preoccupati per come vengono utilizzate le informazioni personali raccolte online, nella stessa occasione il 71% di loro ammette che le ha comunque condivise quando era necessario per completare un acquisto o ricevere un servizio. Sembrerebbe prevalere un sentimento di impotenza rispetto alla possibilità di esprimere preferenza in materia di privacy e personalizzazione. Inoltre, è spesso così complicato capirci qualcosa, che si evita di approfondire e si arriva a ignorare ed evitare la questione.

La conoscenza dei clienti delle dinamiche e delle regole che caratterizzano e disciplinano la gestione della privacy e dei dati personali è scarsa e parziale. Spesso basata esclusivamente su conoscenze di seconda mano, sulla copertura offerta dai media e su ipotesi personali. Solo il 21% degli utenti intervistati sente di avere una cognizione esauriente delle informazioni personali raccolte dalle aziende, mentre il 76% sembra non conoscere i propri diritti in relazione a tali attività di raccolta e utilizzo delle informazioni personali disponibili online.

Si intuisce che certi dati saranno raccolti, ma non si sa bene come tutto ciò funzioni e soprattutto, nella maggior parte dei casi, non si riesce a scorgere in che modo tale scambio di informazioni possa portare benefici e vantaggi agli utenti, oltre che alle aziende.

Questa confusione e mancanza di chiarezza fa sì che i clienti non percepiscano di avere il controllo della loro privacy e della gestione dei loro dati.

Sicurezza e trasparenza

Dato lo scenario appena esposto, quando le aziende si guadagnano la fiducia dei clienti garantendo sicurezza e trasparenza possono trarre benefici decisamente rilevanti. In particolare, quando l’azienda dimostra con i fatti la cura che pone nella gestione delle informazioni  sono proprio le persone più scettiche riguardo alla condivisione dei dati che registrano un maggiore  aumento nel senso di controllo percepito.

La ricerca di Google dimostra che un aumento del 10% delle persone a proprio agio con le attività di raccolta dati e di personalizzazione online porta con sé una crescita di quasi due punti percentuali della quota di annunci giudicati rilevanti. Tale rilevanza percepita, a sua volta, si traduce in maggiori probabilità di vendita, con 9 consumatori su 10 che si dichiarano in questo caso più inclini all’acquisto. Inoltre, quando ai clienti viene garantito un elevato livello di controllo sui propri dati e sulle modalità del loro utilizzo da parte delle aziende, il 43% degli annunci personalizzati viene percepito come rilevante, e i clienti sono tre volte più inclini a reagire positivamente a tali comunicazioni, instaurando relazioni positive e durature con l’azienda.

Un approccio coerente

Per ottenere veri benefici dalle attività di personalizzazione  bisogna sviluppare un approccio coerente alla raccolta e alla gestione dei dati, alla relazione con i clienti, che permetta di superare in modo  proattivo le aspettative dei clienti.

I presupposti su cui fondare tale trasformazione si possono riassumere in sei punti che vedremo più nel dettaglio nel prossimo articolo:

  • non perdere né vendere i dati dei clienti;
  • raccogliere solo le informazioni necessarie per uno scopo specifico;
  • garantire alle persone il controllo sulla condivisione dei loro dati;
  • garantire chiarezza su quali dati l’azienda usa per costruire le sue esperienze;
  • motivare l’utilizzo dei dati per fornire valore al cliente;
  • rispondere in modo intelligente ai vari contesti o stadi del customer journey.

Si tratta, in sostanza, di spostare il focus aziendale sulla costruzione – o ricostruzione  – della fiducia dei clienti e su una comunicazione chiara e trasparente della privacy e delle azioni di personalizzazione, per contribuire al superamento di ogni atteggiamento e percezione negativa manifestati dai clienti.

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