Piattaforme e fiducia: la tecnologia che abilita la relazione

Speciale Ecommerce - 2

Continuiamo il nostro speciale sull’ecommerce con due voci raccolte durante il Netcomm Forum – Shopify e Trustpilot – che raccontano come sta cambiando il modo di fare commercio e relazione. Le piattaforme non sono più meri strumenti tecnologici, ma abilitatori di relazione. Da un lato, sono chiamate a costruire esperienze fluide e coerenti tra canali digitali e fisici; dall’altro, devono saper alimentare una fiducia autentica in un contesto dove il cliente valuta ogni brand attraverso lenti sempre più attente e multidimensionali.

Shopify: un ecosistema per il commercio unificato

Durante la chiacchierata con Paolo Picazio, Country Manager Italia di Shopify è emerso che quando la nota piattarforma parla di “commercio unificato”, non si riferisce solo a una somma di canali digitali, ma a una trasformazione profonda dell’esperienza cliente e delle logiche aziendali che la supportano. L’obiettivo, oggi, non è più semplicemente “vendere online”, ma superare la frammentazione tra negozio fisico, ecommerce e social commerce, costruendo un’interazione unica tra cliente e brand.

“Il canale è solo un canale. Non è il brand“, spiega Picazio. I consumatori si aspettano di parlare con un’azienda come un unico soggetto, a prescindere da dove avvenga il contatto: online, su TikTok, o in un punto vendita. Questa aspettativa cozza con la realtà di molte aziende, ancora organizzate in silos funzionali dove i dati, i processi e i cataloghi restano scollegati. Se in un primo momento gli sforzi si sono concentrati sull’esperienza front-end – come l’ordine online con ritiro in negozio – oggi il vero terreno di innovazione è il back-end: unificare anagrafiche, storici d’acquisto, disponibilità di magazzino, così da offrire servizi più coerenti ed efficienti.

Un esempio concreto viene dal brand K-Way, cliente Shopify: un cliente acquista online, poi si presenta in negozio. Il commesso, dal suo iPad, visualizza lo storico e propone suggerimenti personalizzati. Non è solo un gesto “tech”, ma un modo per superare le aspettative del cliente, offrendo continuità e riconoscimento.

Ma la sfida non è solo tecnica. “È una questione di processi interni”, puntualizza Picazio. Le aziende devono ripensare la propria organizzazione, abbandonando le logiche frammentate del passato. Perché – ed è il cuore del messaggio – i problemi organizzativi delle aziende non devono ricadere sul cliente. Se in negozio non posso restituire un prodotto acquistato online, è il brand che fallisce l’appuntamento con le aspettative.

Shopify, nata con la missione di aiutare chiunque a vendere online, continua a difendere questo approccio inclusivo, lavorando con microimprese, ma anche con brand internazionali e clienti enterprise. “Il nostro DNA non cambia: vogliamo abbassare le barriere di ingresso”. Ed è proprio questa accessibilità – unita alla capacità di integrare in modo nativo nuovi canali come TikTok Shop o Instagram – che rende Shopify una piattaforma in costante espansione: oggi è presente in oltre 175 paesi, con milioni di aziende attive. La relazione con questi nuovi ecosistemi digitali è particolarmente stretta: le grandi piattaforme social costruiscono direttamente le integrazioni con Shopify, garantendo sinergie pronte all’uso e aggiornate. È il segnale di un modello platform-based, dove la velocità di connessione tra strumenti digitali diventa un vantaggio competitivo per il merchant.

Trustpilot: oltre la recensione, la fiducia

La fiducia è la vera moneta di scambio. E come ogni asset strategico, anche la fiducia evolve, cambia forma, si adatta ai nuovi contesti. È su questo terreno che si muove Trustpilot, che si definisce non solo una piattaforma di recensioni, ma un attore dell’industria della fiducia.

Durante l’incontro a Netcomm Florian Rossi, Customer Success Italy Team Manager di Trustpilot,  ci ha spiegato come la fiducia abbia attraversato nel tempo tre grandi fasi: inizialmente era locale, costruita nel rapporto diretto tra consumatore e commerciante; in seguito si è istituzionalizzata, diventando messaggio controllato e veicolato dai brand attraverso le proprie attività di marketing. Oggi siamo entrati in una nuova fase, in cui le persone non si accontentano più della comunicazione unilaterale dell’azienda: cercano riscontri su più fonti, comparano, leggono opinioni spontanee. E tra queste fonti, Trustpilot si propone come uno spazio che coniuga accesso libero e affidabilità.

Il nodo centrale è l’autenticità. Se in passato esistevano veri e propri contact center specializzati nella produzione di recensioni fasulle, la loro portata era comunque limitata e facilmente riconoscibile. Oggi, la sfida si è fatta più complessa: l’intelligenza artificiale consente di generare contenuti falsi con una qualità tale da renderli difficili da distinguere da quelli reali. Per questo, Trustpilot ha adottato una strategia simmetrica: contrastare l’intelligenza artificiale con l’intelligenza artificiale, sviluppando strumenti capaci di intercettare comportamenti anomali e filtrare contenuti sospetti.

Il fenomeno non è trascurabile: nel solo 2024, sono state bloccate oltre 4,5 milioni di recensioni false, un volume in crescita persino superiore rispetto alle recensioni autentiche. Le recensioni false non si limitano a costruire reputazioni fittizie: possono anche essere usate in modo aggressivo per colpire i competitor, abbassandone il punteggio. Per questo Trustpilot insiste sul fatto che il punteggio medio, pur utile, non deve essere l’unico indicatore considerato. Le aziende più evolute, come Alpitour, stanno imparando a leggere oltre la stella, scoprendo che anche nelle recensioni negative si nascondono elementi di valore. Spesso, un’esperienza descritta come problematica contiene spunti di merito che andrebbero valorizzati. In questa direzione, Trustpilot sta potenziando gli strumenti di analisi disponibili per i brand, come la misurazione del tempo medio speso sulla pagina. I dati dicono che gli utenti non si fermano a guardare il punteggio: leggono, confrontano, riflettono. In media, un utente legge sette recensioni e dedica circa due minuti a farsi un’opinione. Il 90% filtra esplicitamente le recensioni negative per comprenderne la natura. E se il contenuto è percepito come irrilevante o esagerato, viene scartato anche dal lettore.

Il messaggio per le aziende è chiaro: non bisogna temere le recensioni negative. Anzi, un profilo totalmente positivo genera diffidenza. La chiave è la trasparenza, il dialogo, la capacità di rispondere pubblicamente in modo misurato e costruttivo. E non solo alle lamentele: anche le recensioni positive meritano attenzione. È un impegno, certo, ma oggi Trustpilot fornisce anche supporto AI per suggerire risposte coerenti con il tone of voice aziendale, alleggerendo la gestione operativa senza rinunciare all’autenticità. I brand che scelgono di affrontare queste conversazioni con apertura, come ha fatto Alpitour, mostrano una visione evoluta del customer engagement: analizzano le recensioni, dialogano con gli utenti, ma soprattutto rielaborano internamente i feedback, trasformandoli in azioni concrete. In un mondo dove il cliente può esprimere la propria opinione su qualsiasi canale – dal social al punto vendita – non essere trasparenti non significa non essere giudicati. Significa solo perdere il controllo della narrazione.

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