Cosa è cambiato e cosa cambierà nella società con l’AI

Intervista a Davide Casaleggio, Ceo Casaleggio Associati

Intervistando Davide Casaleggio, ceo di Casaleggio Associati e autore del volume Gli algoritmi del potere, non si può che parlare di intelligenza artificiale. Oltre a studiare l’argomento da molto tempo, con il suo ultimo libro sta avendo numerosi incontri in tutta Italia, contribuendo così alla diffusione di un dibattito necessario. In particolare, sull’intelligenza artificiale generativa.

Negli ultimi due anni circa, tutti hanno “scoperto” l’intelligenza artificiale, anche se era tra noi da parecchio tempo in altre forme. Molti hanno percepito di essere all’interno di una rivoluzione, all’inizio o nel mezzo di qualcosa che sta cambiando in modo molto significativo. Come spesso accade in questi casi, il dibattito è molto polarizzato. Secondo te Davide, cosa si può fare per affrontare questo argomento con equilibrio?

Innanzitutto è necessario approfondire cosa significa intelligenza artificiale e come si applica al mondo del lavoro e all’economia. Poi c’è tutto un aspetto legato al sociale che sta effettivamente cambiando in modo radicale la società come la conosciamo. Partendo dal tema dell’economia, solo in Italia si prevede che 1.700.000 posti di lavoro verranno sostituiti da sistemi di intelligenza artificiale. Stiamo parlando di un impatto che non vedevamo dall’epoca dell’elettricità in termini di invenzioni o di nuove tecnologie. La vera differenza è che l’intelligenza artificiale non richiede né richiederà la costruzione di nuove infrastrutture. Per l’elettricità, ad esempio, ci sono voluti 48 anni dall’invenzione al suo arrivo nelle case di tutti. Questo perché era necessario costruire i tralicci, creare gli allacciamenti, avvitare le lampadine — insomma, creare tutta l’infrastruttura che ruotava attorno alla nuova tecnologia. L’intelligenza artificiale, invece, richiede solo l’infrastruttura digitale che abbiamo già costruito negli ultimi 20-30 anni. Questa è la vera differenza rispetto a qualunque grande tecnologia del passato, che sia l’elettricità, l’invenzione della stampa o altre che hanno avuto impatto sulla società e sull’economia, come sta già facendo l’intelligenza artificiale.

Potremmo anche dire che la rivoluzione è cominciata quando abbiamo iniziato ad avere i computer in casa, e poi ovviamente con la rete.

Questa rivoluzione si basa su un’infrastruttura che abbiamo costruito da tempo, ma che si sta manifestando soprattutto grazie all’ultima parte della tecnologia dell’intelligenza artificiale: quella generativa. Questa è basata su motori predittivi che inizialmente erano utilizzati per le traduzioni, prevedendo persino le parole successive a quelle già tradotte. Con questo meccanismo, hanno costruito sistemi che, invece di predire solo una frase, riescono a creare un contesto complessivo dell’argomento trattato, generando così questo effetto “magico” quando interagiamo con questi oggetti.

Ma stavamo parlando anche degli impatti sociali…

Stiamo già utilizzando questi oggetti di intelligenza artificiale in vari contesti, come quello giudiziario. La giustizia sportiva, ad esempio, l’abbiamo già delegata all’intelligenza artificiale, o più in generale alla macchina. La goal-line technology nel calcio determina se c’è un gol o meno, non più l’arbitro. Già dal torneo ATP di Torino, l’occhio di falco ha deciso se la pallina è dentro o fuori. Nello sport, abbiamo già accettato che la macchina sia più brava di noi umani a decidere se qualcosa sia giusto o sbagliato, dentro o fuori.

Nella giustizia tradizionale, si stanno vedendo i primi esperimenti. In Cina, tutte le aule di giustizia hanno un sistema chiamato … che valuta tutti gli atti del processo e propone una sentenza. Il giudice può essere in disaccordo, ma deve motivarlo per iscritto, allenando così la macchina a non sbagliare in futuro. In Occidente, paesi come la Gran Bretagna utilizzano l’intelligenza artificiale per proporre se tenere o meno una persona in prigione prima del processo. La detenzione preventiva è quindi affidata, almeno in via sperimentale, al giudizio di una macchina.

Dobbiamo iniziare a capire quali siano i limiti. Per esempio, in Italia, se dovessi contestare una multa per autovelox e sapessi che dall’altra parte c’è un’intelligenza artificiale che verifica la conformità dell’autovelox, non mi scandalizzerei. Ma quando questa tecnologia impatta sulla libertà personale, la questione diventa più delicata. Pensiamo all’Inghilterra: se questo sistema fosse stato applicato ad Assange, forse non avrebbe trascorso 15 anni in prigione in attesa di un processo. Non è necessariamente una questione di migliore o peggiore qualità del giudizio, ma di opportunità nell’introdurre la tecnologia in un contesto così delicato.

Stiamo osservando questo fenomeno in molti altri ambiti, come la politica e il sociale, dove abbiamo a disposizione oggetti che ragionano e possono dare risposte intelligenti. Il concetto stesso di intelligenza si sta evolvendo. All’inizio del ‘900, avevamo il quoziente intellettivo, inventato nel 1905, che consisteva in test per misurare il livello medio della popolazione. Questi test sono diventati sempre più difficili durante il Novecento perché i figli, nutrendosi e formandosi meglio, risultavano più “intelligenti” dei genitori. Questo trend è continuato fino al 1990, quando i figli hanno smesso di superare i genitori nei test del QI. Non perché siano diventati più “stupidi”, ma perché abbiamo iniziato ad espandere il nostro concetto di intelligenza con strumenti esterni.

Oggi, se dobbiamo memorizzare un numero di telefono, lo affidiamo al telefono stesso. Se dobbiamo capire quale strada prendere, usiamo un navigatore. Negli ultimi vent’anni abbiamo iniziato a esternalizzare la nostra capacità cognitiva. Con l’intelligenza artificiale, probabilmente faremo un passo ancora più importante in questa direzione. Se finora abbiamo pensato di metterci in competizione con questi oggetti – battendoli a scacchi, a Forza Quattro e così via, perdendo puntualmente – oggi dobbiamo iniziare a pensare non di correre più veloce di un’automobile, ma di metterci al suo interno e imparare a guidarla.

Questi temi emergono durante le presentazioni del tuo libro che stai facendo in diversi contesti e con pubblici variegati?

Sì, devo dire che c’è un’enorme attenzione all’impatto sociale e al cambiamento in corso, più che alla parte tecnologica. Quest’ultima ha comunque un effetto notevole sui processi interni di un’azienda, con impatti sulla produttività. Come dicevo, c’è grande interesse per l’impatto sulla società. L’esempio che facevo sulla giustizia, o sul concetto stesso di lavoro, è emblematico. Siamo nati per lavorare, ma ora abbiamo macchine che possono svolgere quei compiti. A breve, vedremo interi settori di attività che verranno sostituiti. Pensiamo ai call center: oggi, gli assistenti vocali basati sull’intelligenza artificiale possono dialogare, gestire le obiezioni e interagire con noi senza che ci rendiamo conto che dall’altra parte non c’è una persona. Di conseguenza, le 80.000 persone dedicate ai call center in Italia saranno probabilmente a rischio di disoccupazione entro un anno.

Lo stesso vale per doppiatori, traduttori e molte altre professioni che già oggi appaiono chiaramente sostituibili da questi strumenti. Certo, ci saranno sempre contesti in cui non sarà possibile, ma la maggior parte di queste persone dovrà trovare un’altra occupazione. In alternativa, dovremo iniziare a comprimere le attività lavorative, magari introducendo il venerdì festivo, così come abbiamo fatto con il sabato a metà del secolo scorso. È interessante notare che molti pensano che sia sempre stato così, ma in realtà è un’invenzione piuttosto recente, nata proprio per gestire la produttività.

Ciò che probabilmente dovremmo fare tutti insieme è concentrarci non tanto sulle paure, ma su come può evolvere l’umanità. Questo, del resto, è un tema che è molto caro anche a te in altri ambiti. Hai accennato ai call center e, naturalmente, vorrei sapere secondo te cosa sta cambiando nella relazione con il cliente.

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando in modo sostanziale il settore del commercio elettronico. Abbiamo condotto analisi verticali sui singoli processi aziendali che possono beneficiare dell’uso dell’IA. Numerose soluzioni sono già disponibili sul mercato in modalità SaaS, consentendo un’implementazione rapida, specialmente per quanto riguarda la fase di test.

Le aziende che stanno già utilizzando queste soluzioni in modo esteso riportano spesso impatti medi del 20-30% in termini di produttività. In alcuni casi specifici, come la creazione di immagini dei prodotti, video di presentazione, pagine SEO e gestione automatica dei prezzi — attività molto basate sui dati e su contesti predefiniti — gli impatti sulla produttività possono raggiungere l’80-90%.

Questo significa che non è solo una questione di efficienza, ma anche di ripensare i modelli di business. Alcune attività che prima erano troppo costose ora diventano possibili. Di conseguenza, molte aziende stanno immaginando nuovi modelli di business e offerte di servizi al cliente che prima erano economicamente infattibili.

Probabilmente assisteremo anche a un cambiamento nell’interfaccia utente, passando all’interazione vocale con agenti di intelligenza artificiale. Questi si occuperanno di contrattazione, ricerca e altre attività che normalmente richiedono molto tempo. Per noi clienti, questo potrebbe rappresentare un enorme vantaggio, affidando queste mansioni a un agente virtuale.

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