Lo Human Touch nell’era dell’AI

Nel corso del nostro Ask&Meet dedicato a Human touch e Intelligenza ArtificialeAntonio Filoni (BVA Doxa), Mauro Danzi (Zoom) e Paolo Massarani (Athics) hanno affrontato il tema della trasformazione della relazione tra brand e clienti in un’epoca dominata dai dati, dall’intelligenza artificiale e da customer journey sempre più complessi. Un dibattito che ha evidenziato la necessità di andare oltre l’automazione per restituire centralità alla persona.

Antonio Filoni ha aperto il confronto con un punto di vista chiaro: “I clienti non sono solo dati. Sono persone empatiche che cercano spesso complicità dal brand”. Secondo l’analisi condotta da Doxa, ci sono tre momenti chiave nella relazione con il cliente: la fase di avvicinamento, quella di fidelizzazione e il momento dell’abbandono. Ognuna di queste fasi ha specificità e bisogni precisi. Se nella prima le persone cercano rassicurazioni e informazioni chiare, nella seconda è essenziale che il brand non scompaia, come spesso accade, ma continui ad alimentare la relazione. E nel momento dell’abbandono, troppo spesso trattato come un “tradimento” con offerte aggressive, servirebbe invece coerenza con il purpose aziendale.

Filoni ha anche messo in luce le criticità ancora diffuse nei touchpoint aziendali: attese troppo lunghe, incoerenza tra i canali, disallineamenti nei messaggi. “La trasparenza – ha sottolineato – è una delle leve più importanti per evitare frizioni. Essere trasparenti significa anche dire ‘non lo so’ e aiutare le persone a orientarsi senza raccontare storie”. In questo contesto, l’intelligenza artificiale può aiutare non solo a rispondere più velocemente, ma soprattutto a supportare internamente gli operatori, offrendo loro gli strumenti per interagire in modo empatico e tempestivo. Filoni ha inoltre evidenziato quanto sia strategico valorizzare i dati raccolti durante tutte le fasi della relazione, non solo per analisi retrospettive ma per generare veri insight: “Oggi abbiamo una marea di dati destrutturati – dai call center, dai social, dalle recensioni – che possono essere trasformati in conoscenza utile. L’AI abbatte la fatica dell’analisi e ci permette di individuare pattern, segnali deboli, priorità operative”. A suo avviso, questi strumenti non devono essere usati solo per misurare il sentiment, ma anche per allertare in anticipo le aziende sui possibili rischi di insoddisfazione o abbandono, restituendo valore alle persone che hanno già interagito con il brand.

Mauro Danzi ha rafforzato questo punto evidenziando come il vero limite dell’intelligenza artificiale non sia tecnico ma culturale. “Molte organizzazioni pensano all’AI solo come un modo per tagliare i costi, automatizzare i processi o ridurre il personale. Così si perde il vero valore della tecnologia”. Danzi ha sottolineato tre ambiti in cui l’AI offre valore concreto: per i clienti, grazie alla capacità di personalizzare risposte su generazioni diverse; per gli operatori, con strumenti che facilitano l’analisi delle richieste e l’efficienza; e per il brand, che può così rafforzare la propria posizione in un mercato dove la fedeltà è in costante calo.

Un esempio citato è il modulo “AI Expert” sviluppato da Zoom, che durante una conversazione è in grado di leggere in tempo reale gli intenti del cliente e suggerire risposte all’agente, migliorando l’efficacia dell’interazione. “Oggi l’AI può persino generare un riepilogo automatico della conversazione, indicare i prossimi passi e aiutare l’agente a migliorare nella gestione futura del cliente”. Il tutto, ha evidenziato Danzi, senza sostituire l’umano, ma come alleato concreto.

Un altro aspetto fondamentale su cui l’AI può fare la differenza, secondo Danzi, è la possibilità di valutare in tempo reale la qualità della relazione con il cliente. Attraverso strumenti avanzati di sentiment analysis, engagement e quality management automatizzati, è oggi possibile monitorare e correggere le interazioni mentre accadono. “Possiamo vedere in diretta se un cliente è soddisfatto o frustrato, e intervenire subito – anche con sconti o azioni mirate – per evitare l’abbandono”, ha spiegato. Un approccio che trasforma la gestione del servizio da reattiva a proattiva.

Anche Paolo Massarani ha insistito sul ruolo complementare dell’AI rispetto all’interazione umana. “Le persone non cercano solo risposte rapide, cercano anche rassicurazione, ascolto, comprensione. L’intelligenza artificiale non sostituirà mai l’empatia, ma può amplificare le capacità degli operatori”. Massarani ha raccontato come le tecnologie sviluppate da Athics siano orientate ad andare più in profondità, integrando l’analisi del sentiment, la profilazione psicometrica, la rilevazione automatica delle propensioni dell’utente. Questo consente non solo di rispondere in modo più efficace, ma di adattare i toni e i contenuti al profilo specifico dell’interlocutore.

Nel corso del dibattito si è parlato anche dei momenti di passaggio tra AI e operatore umano. Massarani ha portato un esempio particolarmente efficace: immaginando un supermercato di grandi dimensioni, si potrebbe prevedere l’uso di QR code posizionati nelle corsie per attivare un supporto digitale. Il cliente, leggendo il codice, accede a un assistente virtuale che raccoglie informazioni sull’interesse o sul dubbio espresso. A quel punto, un commesso, sapendo esattamente dove si trova il cliente e qual è la richiesta, può intervenire in modo tempestivo con un’esperienza d’acquisto personalizzata. “È un passaggio fluido – ha spiegato – che non si percepisce come uno switch tra tecnologia e umano, ma come un unico flusso di assistenza.” Secondo Massarani, non si può definire una regola fissa, ma serve un’analisi attenta del customer journey. “Un chatbot può essere adatto nella fase di esplorazione, ma quando entriamo nel post-vendita o in una situazione critica, il passaggio all’operatore deve essere fluido, quasi trasparente. E soprattutto, serve formare gli operatori per interpretare gli insight che arrivano dai sistemi automatici”.

In chiusura, i tre relatori hanno condiviso una visione simile: la customer experience non può più essere intesa solo come strumento di acquisizione. Serve lavorare con la stessa intensità sulle fasi di mantenimento e riattivazione. Come ha detto Filoni, “bisogna ripensare il concetto di fedeltà: non è solo evitare che il cliente se ne vada, ma costruire le condizioni perché possa tornare”. Per farlo, ha aggiunto Danzi, serve curiosità e capacità di rivedere processi e strumenti. E per Massarani, la chiave è una sola: “Sperimentare, senza paura. L’intelligenza artificiale sta partendo ora. Chi aspetta, rischia di perdere il treno”.

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