Il Change Management nella Customer Experience

Intervista Adriana Piazza, CX Strategist Qualtrics

Adriana Piazza

Abbiamo intervistato Adriana Piazza, CX Strategist di Qualtrics, per capire quali caratteristiche hanno i progetti di Voice of Customer che portano benefici alle aziende, esplorando il ruolo del change management nei processi di CX. In particolare, Piazza ci ha spiegato, attraverso l’esempio pratico di una banca europea quali risultati si possono ottenere adottando un approccio strutturato al cambiamento come il modello ADKAR. La vera trasformazione non si fa  solo con strumenti tecnologici, ma anche un profondo cambiamento culturale e organizzativo.

Lo spunto dell’intervista è partito da un articolo pubblicato su LinkedIn nel quale Piazza ha dimostrato come i progetti di customer experience e Voice of Customer debbano essere accompagnati da progetti di change management, partendo dalla considerazione che spesso i progetti di ascolto del cliente non scaturiscono in azioni di miglioramento e quindi non portano risultati all’azienda. 

Raccontaci quali sono gli errori più comuni e quali strategie si possono attuare per evitare questa tipologia di errori.

Hai toccato un punto molto importante. Devo dire che vedo con ottimismo che le aziende stanno gradualmente imparando a mettere l’utilizzo delle informazioni al centro dei loro programmi di customer experience. Tuttavia, questo resta un tema ancora da sviluppare pienamente. Molti programmi di Voice of Customer rimangono fermi alla fase iniziale della misurazione. Quando si tratta di utilizzare gli insight derivanti dai feedback dei clienti — raccolti tramite survey classiche o altre fonti — spesso ci si ferma all’analisi. Si individuano le metriche, si identificano i problemi, ma si fa fatica a implementare concrete iniziative di miglioramento. Dalla mia esperienza, questo accade principalmente perché i programmi di Voice of Customer non nascono allineati a obiettivi strategici ed economico-finanziari chiari. Si raccoglie la voce del cliente fine a se stessa, senza una struttura strategica definita e senza un’idea precisa di come utilizzare i dati esperienziali. Il risultato è che ci si ritrova con molti dati ma senza sapere come sfruttarli.

C’è poi l’annosa questione dei silos organizzativi. Dal mio punto di osservazione, esistono diversi silos aziendali che raccolgono dati esperienziali e li utilizzano solo all’interno della propria funzione: i dati della digital experience restano confinati al team dei canali digitali, quelli del customer care rimangono in quella divisione, e il dipartimento di customer experience raccoglie dati trasversali sulla customer journey che però non vengono condivisi.

Infine, non manca tanto la cultura — che nelle aziende sembra essere presente — quanto i processi strutturati. La governance del dato e la sua implementazione pratica sono gli aspetti su cui le organizzazioni incontrano maggiori difficoltà.

Riassumendo, oltre a questi tre elementi, manca soprattutto la consapevolezza che un progetto di Voice of Customer Management è essenzialmente un esercizio di change management. Le organizzazioni spesso non realizzano che devono accompagnare la raccolta dati con veri progetti di change management che operino su tre pilastri fondamentali: tecnologia, cultura e sviluppo di capacità e competenze.

A questo proposito, dato che nel tuo lavoro affianchi tante aziende in questi percorsi di trasformazione, potresti raccontarci un caso concreto che illustri un particolare modello di change management?

Molto volentieri. Nel mio lavoro con i clienti, spingo sempre le aziende a scegliere un modello di change management appropriato. Per i progetti di customer experience, i modelli più efficaci sono due: il modello ADKAR, che vi racconterò attraverso il caso di una banca, e il modello di Leandro Herrero, un approccio più lean basato sul concetto di viral change, utilizzato quando si vogliono ottenere risultati rapidi.

Vorrei raccontarvi il caso di una banca europea con cui ho collaborato qualche anno fa. Si trattava di una banca tradizionale con circa 10 milioni di clienti, operante in otto Paesi, che si trovava a competere sempre più con banche digitali pure e Fintech. Si erano resi conto di essere rimasti indietro sul tema della centralità dell’esperienza cliente. Fortunatamente, avevano capito che l’adozione di una piattaforma centralizzata di voice of customer avrebbe aiutato tutti i Paesi e i singoli dipartimenti della banca. Grazie anche al nostro supporto, hanno compreso che non era solo questione di adottare una tecnologia, ma di innescare un vero processo di change management.

Il project manager responsabile del programma Voice of Customer aveva una recente certificazione Prosci e competenze nella metodologia ADKAR – sviluppata da Jeff Hiatt all’inizio degli anni ’90. Questa metodologia, incentrata sull’individuo, è un acronimo dove A sta per Awareness, D per Desire, K per Knowledge, A per Ability e R per Reinforce, e accompagna l’individuo durante l’intero arco della trasformazione.

Con questa banca, abbiamo implementato il modello nel seguente modo:

Per l’Awareness, abbiamo lanciato una campagna di comunicazione interna per far comprendere a tutti il “perché” dietro al progetto voice of customer. Abbiamo curato particolarmente i codici linguistici – da semiologa, questo aspetto mi ha molto appassionata. Abbiamo utilizzato sia un registro emozionale, con interviste e storie dei clienti, sia uno più tecnico, presentando dati concreti come il numero di chiamate a basso valore al customer care o i clienti persi nel funnel digitale.

Per il Desire, abbiamo lavorato sul coinvolgimento delle persone. Ci siamo accorti che non bastava parlare di obiettivi corporate come migliorare l’NPS o ridurre il churn – dovevamo toccare motivazioni personali. Abbiamo organizzato workshop con advocate interni, aiutando ogni funzione a comprendere i benefici specifici: la compliance avrebbe identificato più facilmente le aree di rischio, l’area prodotti avrebbe ricevuto insight più rapidi per l’innovazione.

Per Knowledge e Ability, abbiamo implementato un programma di formazione completo: dall’e-learning tecnico sull’uso della piattaforma a workshop strategici per trasformare gli insight in progetti concreti di closed loop.

Infine, per il Reinforce, abbiamo integrato metriche di customer experience nei parametri di leadership, creato il premio “CX Hero” per i migliori progetti di customer experience, e lanciato una newsletter che evidenziava costantemente i trend dei dati e i progetti delle diverse unità della banca. Abbiamo così applicato alla lettera la metodologia ADKAR.

Un bel progetto impegnativo. Immagino che abbia portato anche ottimi risultati.

Si ottengono risultati nella misura in cui si riesce a coinvolgere tutta la popolazione aziendale nel mettere la voce del cliente al centro della propria operatività quotidiana. Certamente i risultati ci sono, ma non derivano semplicemente dal fare survey.

Ci sono altre metodologie da utilizzare quando bisogna implementare velocemente una tecnologia? Come si riescono a superare le resistenze interne?

Le resistenze sono frequenti. Come Qualtrics la maggior parte delle nostre conversazioni avviene con responsabili di aree di business. A volte però interagiamo anche con il dipartimento IT. Proprio quest’ultimo è spesso fonte di resistenza, poiché ha le proprie priorità, risorse limitate e poco tempo per dedicarsi alle integrazioni o alle migrazioni dei dati. Altre volte, sono le aree di business stesse a creare resistenza, principalmente per la riluttanza nel condividere le proprie metriche specifiche.

Non esiste una formula magica, ma dalla mia esperienza ho imparato che il successo arriva quando si riesce a portare tutti verso una visione comune. È fondamentale far comprendere a ciascuno il beneficio strategico e concreto dell’adozione di una tecnologia. Insisto sempre con i nostri clienti sull’importanza di misurare e comunicare internamente risultati chiari, oggettivi e quantificati.

Se la resistenza viene dall’IT, è efficace presentare dati sulla riduzione del personale necessario per gestire la piattaforma e sulla diminuzione del costo totale di gestione. Con le singole funzioni aziendali, invece, è importante evidenziare i benefici specifici: al responsabile del customer care mostriamo quanto si ridurranno le chiamate a basso valore aggiunto analizzando i feedback, mentre all’operatore di front line spieghiamo come potrà migliorare le proprie performance, su cui viene valutato dai manager. In sintesi: visione e numeri.

Hai aperto questa intervista dicendo che vedi comunque un miglioramento generale nell’approccio a questi progetti. Quindi c’è più sensibilità verso una visione della customer experience che coinvolga tutta l’azienda?

Direi piuttosto che c’è una maggiore sensibilità verso una customer experience orientata all’azione. Fino a qualche anno fa, quando un’azienda si rivolgeva a vendor tecnologici come noi, la maggior parte delle conversazioni riguardava la raccolta dei dati e la scelta delle metriche. Oggi invece le aziende partono subito chiedendo: Come posso utilizzare questi dati? Come posso agire?”Cosa me ne faccio dei dati che raccolgo?

Le aziende vogliono vedere quali capacità tecniche abbiamo per facilitare la chiusura del loop. Per esempio, se sono un retailer con 8.000 negozi e voglio permettere al personale di front line di chiudere il loop con i propri clienti, vogliono vedere come possiamo supportarli. Quindi sicuramente riscontro molta più attenzione alla possibilità di agire sulle informazioni, mentre l’allineamento di tutta l’organizzazione resta ancora un’ambizione da raggiungere.

COMMENTI