Il call center licenzia. No, assume

Con il contributo di Assocontact facciamo chiarezza sull’occupazione nel settore dei call center

Nelle ultime settimane i giornali e i siti di attualità da una parte, e di recruiting dall’altra, hanno dato ampio spazio a notizie contrastanti: “delocalizzazioni” di importanti call center, con conseguenti licenziamenti, e assunzioni consistenti per altre realtà. Denominatore comune: il sud Italia.
A fronte di un settore che pare comportarsi in modo schizofrenico, abbiamo chiesto un commento a Luca D’Ambrosio, presidente di Assocontact. Anche quello dei call center, spiega il presidente: “E’ un settore generalmente in crisi. Siccome però il mercato non si ferma, è facile immaginare che vi siano anche assunzioni. Non va dimenticato che il nostro settore non serve più solo le telecomunicazioni, ma si allarga ad altre industry, fornendo un valido supporto nel passaggio dalla gestione fisica dello sportello – si pensi al bancario – a quella virtualizzata”.
I motivi della crisi sono diversi: da una parte il settore dei call center sconta il peso della crisi generale, che si riverbera anche sui committenti, che richiedono a loro volta ai call center costi sempre più bassi, che si trasformano in minori marginalità.
Come se ne esce? “Da una parte sperando nella ripresa macroeconomica, che al momento non è ancora in vista. Dall’altra lavorando per fare in modo che il governo si occupi del nostro giovane settore, in cui l’80% dei costi è dato dal costo del lavoro. Quello che chiediamo è un supporto che ci dia modo di crescere e operare con stabilità sul mercato”.
Lo “spostamento” al sud dei call center
Il settore dei call center ha sempre avuto una distribuzione geografica uguale tra nord e sud, con picchi di operatori tra Lombardia e Piemonte. Negli ultimi due-tre anni, però, il sud ha implementato interessanti politiche per l’impiego riferite alla prima assunzione. Due i tipi di agevolazioni: quelli della legge 407/90, che prevede lo sgravio sulla parte contributiva per tre anni. Vi sono poi i fondi sociali europei allocati alle regioni (i cosiddetti POR, Piano di Occupazione Regionale). “La somma di questi due elementi – spiega D’Ambrosio – ha reso il lavoro nelle regioni del sud più conveniente. Ecco il perché delle assunzioni in questi territori”. Non va poi dimenticato che il lavoro del call center riveste una funzione sociale (l’80% degli assunti è giovane, il 70% donna), e si tratta per la quasi totalità di inserimenti di primo impiego. Innestare un call center in un territorio significa non solo diminuire in quella zona il livello di disoccupazione, ma anche lavorare su quel tessuto sociale e generare ricadute positive.
Come “leggere” le offerte di assunzione
Assunzioni e licenziamenti, delocalizzazioni: questa poca chiarezza si trasforma, agli occhi degli operatori e soprattutto dei candidati, in preoccupazione e difficoltà di comprensione delle “vere” proposte di lavoro. Come è possibile discriminare tra offerte di lavoro serie e offerte che si potrebbero rivelare delle perdite di tempo? D’Ambrosio individua una serie di elementi da verificare: è bene che la società che propone il lavoro faccia parte di Assocontact, dunque aderisca a un codice di autodisciplina. È importante poi valutare la durata dell’assunzione: “Tipicamente il nostro settore assume a tempo indeterminato”. Va poi considerata la presenza sul territorio, in rapporto anche alla storicità: “E’ meglio non fidarsi di aziende appena formate, create magari sulla gestione di una singola commessa. Occorre inoltre diffidare di chi ha poche commesse da seguire. Infine, conta anche il fattore dimensionale: aziende con un volume d’affari di 20-30 milioni di euro, possono essere considerate solide e serie”.
Elena Giordano

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