Durante il webinar Touchpoint & Acquisizione Dati, abbiamo avuto l’occasione di condividere una riflessione che oggi è più che mai attuale: nel marketing esperienziale, i dati non sono un elemento tecnico da delegare, ma una leva strategica da progettare con cura. In un contesto omnicanale, dove i clienti si muovono fluidamente tra store fisici, siti web, app e assistenti virtuali, il dato diventa l’infrastruttura invisibile dell’esperienza. È ciò che unisce i punti, collega i canali e alimenta una relazione autentica.
Tuttavia, molti brand raccolgono grandi quantità di informazioni senza una chiara strategia di attivazione. Eppure, il dato è relazione potenziale. Sta a noi attivarla. Ecco i principali spunti condivisi durante il nostro intervento:
1. Il nuovo ruolo del dato: da supporto a leva relazionale Il marketing moderno richiede un approccio esperienziale, dove ogni contatto con il cliente deve portare valore. In questo scenario, il dato non è più solo uno strumento di analisi retrospettiva, ma un elemento predittivo e proattivo. Il cambio di paradigma è chiaro: raccogliere informazioni non basta, bisogna saperle contestualizzare e attivare in tempo reale. Il rischio è duplice: raccogliere tanto e usare poco, oppure usarlo male, generando esperienze incoerenti.
2. Una strategia data-driven coerente con l’esperienza di brand Un errore comune è costruire database di prima parte (first-party) senza una strategia di utilizzo. La raccolta deve essere sempre finalizzata all’attivazione. Questo significa progettare una vera e propria mappa dei dati all’interno della journey, integrando dati transazionali, comportamentali e dichiarativi. Un esempio virtuoso è quello di Sephora, che chiede dati in cambio di raccomandazioni beauty personalizzate: uno scambio percepito come equo e utile dal cliente. In generale, la strategia dovrebbe prevedere la definizione di quali dati sono realmente utili per ogni segmento e ogni fase del ciclo di vita del cliente.
3. Touchpoint e momenti chiave per la raccolta intelligente dei dati Non tutti i momenti sono uguali: ci sono fasi più adatte a raccogliere dati, altre a utilizzarli. Un errore frequente è chiedere tutto subito (come nei form di onboarding), generando abbandono e sfiducia. Meglio distribuire la raccolta lungo il percorso, secondo logiche di micro-conversione. Anche il linguaggio conta: spiegare perché si chiede un dato aumenta la disponibilità a condividerlo. Lavorare sui micro-copy nei touchpoint digitali può migliorare drasticamente il tasso di completamento. Nei contesti fisici, strumenti come QR code intelligenti, carte fedeltà digitali e tablet possono fungere da ponte tra l’esperienza in-store e quella online, permettendo di raccogliere dati contestualizzati e attivabili.
4. Personalizzazione e orchestrazione omnicanale La personalizzazione non è solo questione di chiamare il cliente per nome. Serve coerenza tra canali e continuità dell’esperienza. Molte aziende personalizzano il sito ma inviano email generiche o hanno call center che non conoscono il cliente. L’orchestrazione richiede modelli predittivi, analisi del comportamento e un’architettura dati integrata. Il risultato? Una relazione più fluida, un cliente più soddisfatto. Un esempio efficace è quello di Bulgari: attraverso una strategia di unified commerce sviluppata con Adyen, il brand ha integrato dati da eCommerce, boutique, CRM e app per garantire riconoscimento e coerenza su tutti i touchpoint. Il cliente si sente accompagnato lungo il journey, e le comunicazioni sono contestuali, non generiche. A livello operativo, è fondamentale adottare strumenti di marketing automation che consentano di automatizzare e monitorare azioni omnicanale in tempo reale, con dashboard unificate e segmentazioni dinamiche.
5. Dati e feedback: chiudere il cerchio con l’ascolto attivo Il feedback è uno dei dati più preziosi, ma spesso sottoutilizzato. Non basta raccogliere recensioni o punteggi: bisogna analizzare trend, insight impliciti, aspettative. Trustpilot, ad esempio, offre strumenti che aiutano le aziende a passare dal semplice ascolto all’azione, individuando pattern di comportamento o esigenze latenti. Integrare questi segnali con i dati già presenti nel CRM consente di chiudere il cerchio e rendere la customer experience un processo in costante evoluzione. Anche strumenti come text analytics, sentiment analysis e sistemi conversazionali possono aiutare ad estrarre valore dai dati non strutturati raccolti tramite survey, chatbot o assistenti virtuali.
Nel marketing esperienziale, i dati non sono un accessorio: sono il tessuto connettivo dell’esperienza. Il loro valore emerge solo quando sono raccolti in modo intelligente, attivati nel momento giusto e utilizzati per creare interazioni rilevanti. Nei contesti omnicanale, la coerenza è tutto: un cliente che cambia canale non vuole ricominciare da capo. Vuole essere riconosciuto, compreso e accompagnato. E tutto parte da come gestiamo i dati in ogni fase, in ogni punto di contatto e con ogni strumento a disposizione. Perché il dato, da solo, non crea relazione. Ma se attivato nel modo giusto, può trasformare ogni touchpoint in un’opportunità di fiducia.
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