Osservatorio Customer Care: al via la nuova edizione

Intervista a Andrea Tozzi, Senior Research Market, BVA Doxa

A inizio 2025 abbiamo pubblicato un interessante dialogo con Paola Caniglia, Head of BU Retail di Bva Doxa, che ci ha illustrato le principali aspettative dei consumatori emerse dall’indagine 2024 dell’Osservatorio Customer Care, un’analisi approfondita che ha raccolto preziosi insight sul rapporto tra aziende e clienti. Ora, mentre l’edizione 2025 dell’Osservatorio è in pieno svolgimento, abbiamo l’opportunità di approfondire ulteriormente questi temi. Abbiamo chiesto ad Andrea Tozzi, Senior Research Market di BVA Doxa, a condividere con noi non solo la storia e l’evoluzione dell’Osservatorio Customer Care, ma anche ad anticiparci le principali direzioni di ricerca e i temi fondamentali che caratterizzeranno l’edizione di quest’anno.

“L’Osservatorio Customer Care nasce due anni fa da un’intuizione, confermata anche dai feedback delle aziende clienti: mancava uno strumento conoscitivo capace di analizzare in profondità l’esperienza dei consumatori nei momenti di contatto con il customer care. Non volevamo limitarci alla semplice soddisfazione per una chiamata a un contact center, ma esplorare l’intera esperienza: da quando nasce l’esigenza di contatto – come la ricerca delle informazioni online – fino alla facilità di accesso ai canali, al numero di interazioni necessarie, ai touchpoint attivati e all’esito finale. Vogliamo capire davvero cosa succede e come viene vissuto quel momento di relazione con il brand. Ogni anno raccogliamo oltre 14.000 esperienze, vissute in un periodo molto breve (3-4 settimane max dal giorno dell’intervista) per garantire ricordi freschi e osservazioni puntuali. Uno degli elementi distintivi è l’approccio multisettoriale: copriamo tutti i principali settori privati – dai trasporti al turismo, dal retail all’arredamento, dalle banche all’e-commerce – con l’unica eccezione del settore pubblico e sanitario, che pure rappresenterebbe un ambito interessante da approfondire.

Quest’anno la nuova edizione si muove lungo due direttrici principali. La prima è il ruolo dell’intelligenza artificiale, che sta entrando in modo sempre più deciso nei processi aziendali, anche come strumento per migliorare l’efficienza del customer care. La seconda riguarda l’esperienza dell’utente: il concetto stesso di customer experience sta diventando più centrale e articolato, e riguarda ormai tutti i momenti di interazione con l’azienda. Il customer care, oggi, può essere anticipatorio, proattivo, capace di prevenire problemi prima ancora che il cliente debba segnalarli. È questa la vera quadratura del cerchio”.

Ciò che caratterizza sempre di più questo periodo è la velocità dei cambiamenti e dell’evoluzione. In un anno, dopo un iniziale momento di titubanza delle aziende nell’adottare l’intelligenza artificiale, i casi d’uso sono diventati sempre più frequenti. Di conseguenza, i clienti si sono trovati maggiormente a interagire con l’intelligenza artificiale. Secondo quello che avete già osservato, ne sono consapevoli? Come andrete a indagare questo aspetto?

Sarà uno degli aspetti cruciali di questa edizione, proprio per la rapidità del cambiamento. La rilevazione del 2024, per certi versi, sembra appartenere a un’altra epoca. I dati erano chiari: l’AI o non veniva percepita, o veniva percepita negativamente – spesso come “stupida”. Per darti un riferimento: tra chi interagiva con operatori umani (via telefono, canali digitali o fisici) e chi si affidava a strumenti self-service come i chatbot, c’era un divario di soddisfazione di 40 punti percentuali. I chatbot venivano tollerati solo come strumenti di smistamento. Appena il bisogno diventava più complesso, il cliente chiedeva di parlare con una persona.

Oggi però la situazione si sta evolvendo. Il punto non è digitale vs. umano, né giovani vs. anziani. La difficoltà era strutturale. Ora vediamo una doppia accelerazione: i chatbot diventano più intelligenti, e l’AI viene integrata nei processi per supportare gli operatori con suggerimenti e dati in tempo reale.

Sarà interessante capire se e quanto tutto questo viene percepito, e soprattutto se migliorerà la relazione. Come sappiamo dal mondo retail, la tecnologia deve essere invisibile: il cliente vuole che il servizio sia semplice, fluido, funzionale. Non gli interessa se dietro c’è una tecnologia sofisticata o meno.

Un esempio utile: nel retail, l’82% delle persone pensa che l’AI porterà vantaggi alle esperienze d’acquisto – grazie a operazioni più rapide in cassa, maggiore efficienza, più personalizzazione. Anche se non riescono ancora a immaginarne bene le applicazioni, si aspettano esperienze più coinvolgenti. Ma se spostiamo lo sguardo sulla smart home – come osserviamo con il nostro Osservatorio sugli italiani e la casa, Casa Doxa – le preoccupazioni aumentano: privacy, controllo e utilità reale sono ancora vissuti con diffidenza. Lo stesso tipo di percorso potrebbe avvenire anche nel customer care: da un’AI inizialmente vista con sospetto a un supporto riconosciuto e apprezzato.

Avremo sicuramente occasione di tornare a parlarne appena ci saranno i risultati. Ma c’è un’altra cosa molto interessante che hai detto prima: il fatto che il customer care stia assumendo sempre più un ruolo centrale. In fondo, quando si parlava di customer experience, sembrava fosse più un’area del marketing per creare aspettative e il famoso “effetto wow”. Oggi invece si parla di relazione, di continuità. È questa la tendenza che accennavi? Puoi dirci qualcosa di più?

La vedo in una doppia direzione: da una parte le aziende, dall’altra i consumatori. Sempre più realtà stanno capendo che la relazione con un brand non è solo marketing o immagine istituzionale, ma si gioca nei fatti. Lo store e il customer care sono i due touchpoint decisivi dove il cliente verifica se la promessa fatta viene mantenuta. Se manca coerenza – ad esempio un brand di lusso che promette massima cura e attenzione ma poi lascia il cliente in attesa – l’effetto sulla percezione è devastante.

Molte aziende stanno cercando di ripensare il modo in cui gestiscono questa relazione, anche investendo nella formazione e nel rimettere la persona davvero al centro. Ma non è semplice: ci sono ancora troppi silos organizzativi, una frammentazione dei canali, una mancanza di visione integrata. Serve un’analisi trasversale di tutti i punti di contatto.

Dal lato dei consumatori, il 68% dice che nella scelta di un’azienda di servizi conta moltissimo avere un customer care di qualità, proattivo e con buona reputazione. Il cliente non vuole doversi occupare della gestione dei problemi: si aspetta che sia l’azienda a farsene carico.

Faccio un esempio: spesso le aziende puntano molto sui tempi di risposta rapidi. Ma la verità è che i clienti sono disposti ad aspettare, purché siano seguiti bene. Preferiscono sentirsi dire “abbiamo preso in carico il problema, ci vorranno due giorni” piuttosto che ricevere una risposta inutile in tre ore. La gestione conta più della velocità.

Il customer care è oggi decisivo sia in fase di acquisizione che di fidelizzazione. Se penso al settore utilities, un cliente che ha sempre pagato regolarmente ma viene seguito bene in un’unica occasione di bisogno, difficilmente cambierà fornitore. Al contrario, una cattiva gestione può far perdere il cliente anche dopo anni di relazione positiva. Il customer care è sempre di più il momento in cui si misura il vero valore della relazione tra brand e persona.

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