Per il ciclo delle nostre interviste abbiamo incontrato Alessandro Gerosa, ricercatore universitario, autore del volume Hipster Economy che indaga di un fenomeno sociale e di consumo che può dare spunti interessanti ai nostri lettori e far scoprire nuove opportunità.
Raccontaci un po’ del tuo libro: come è nato e che soddisfazioni ti sta portando?
La soddisfazione principale è proprio questa: avere tante occasioni di confronto e discussione in ambiti sia accademici che oltre l’Accademia. Ad esempio, settimana scorsa ho presentato il libro in un’intervista per una rivista di artigiani e oggi con voi di Customer Management Insights, che parlate più del mondo aziendale. In questo libro ho cercato di illustrare la hipster economy, una nuova economia urbana e neo-artigianale fondata sull’autenticità e distintività. Parliamo di bar con mixology esclusivi, ristoranti con fornitori a chilometro zero, e iniziative culturali precise, come la valorizzazione delle tradizioni culinarie.
Durante il mio dottorato di ricerca, inizialmente dovevo analizzare l’economia delle start-up hi-tech a Milano. Mi sono accorto che molti progetti finanziati dagli enti locali non erano solo tecnologici, ma anche legati a iniziative di street food, cucina solidale, bar di comunità. Mi sono reso conto che dietro la narrazione delle grandi start-up c’era un tipo di innovazione diverso, ma non meno importante. Questo libro racconta proprio questo fenomeno.
Da fenomeno di nicchia, alcuni aspetti sono entrati nella vita di tutti noi senza che ce ne accorgessimo. Quali sono gli aspetti che possiamo evidenziare?
All’inizio del mio dottorato avevo un po’ paura di finire a fare il sociologo degli hamburger gourmet. Invece, tramite il mio libro, che è liberamente scaricabile in open access, ho cercato di mostrare come queste attività apparentemente frivole siano indicatori di un paradigma di consumo molto ampio e diffuso negli ultimi cinquant’anni, esploso negli ultimi dieci. È un paradigma fondato sul consumo artigianale e sull’esperienza autentica, che ha contagiato anche in grandi catene come McDonald’s che cinque anni fa ha lanciato il loro primo panino artigianale. Quando l’azienda sinonimo di fast food lancia un hamburger artigianale, capisci che sta succedendo qualcosa di enorme. Questo fenomeno è visibile nei supermercati e nelle città di tutto il mondo, dagli Stati Uniti a Tokyo. Le persone desiderano avere esperienze di consumo più appaganti e percepite in modo più genuino rispetto a quello che è il semplice prodotto industriale o prodotto standardizzato.
Questo potrebbe offrire interessanti opportunità alle aziende sempre alla ricerca di personalizzazione. Cosa possono imparare?
Un marketer deve avere una conoscenza delle trasformazioni dei consumi. Questo specifico paradigma di consumo dà un vantaggio importante alle piccole realtà che possono rimanere fedeli ai propri principi più facilmente. Per le grandi aziende, dimostrare coerenza con questi principi è fondamentale. Ad esempio, McDonald’s in Irlanda ha dovuto ritirare il proprio panino artigianale dopo una settimana perché non poteva dichiararsi tale. Tanto più questo fenomeno di ricerca del consumo genuino e autentico si diffonde, tanto più le aziende lo adottano e tanto più i consumatori diventano attenti. In questo caso, le azioni parlano molto più delle parole. Bisogna dimostrare concretamente il supporto ai produttori locali e la disponibilità a rinunciare a parte dei profitti per mantenere la coerenza con i propri valori. Questo significa agire prima che qualcuno metta in luce eventuali incoerenze. Le grandi aziende per esempio possono sostenere un pensiero cooperativo in termini di filiera, pensando all’ecosistema e non solo a se stesse. Cioè questo paradigma dà la possibilità, alle realtà che davvero lo vogliono, di essere parte di un cambiamento positivo.
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