Nell’articolo precedente, Fidelizzazione, sostenibilità e intelligenza artificiale, abbiamo parlato dei nuovi driver legati alla vicinanza nei valori tra brand e clienti, del circolo virtuoso che si crea quando i dati vengono gestiti in modo trasparente e corretto e della crescente capacità di interpretare i comportamenti dei clienti e di agire in sintonia con essi. Oggi vogliamo approfondire ulteriori aspetti, come le nuove modalità di ascolto del cliente, l’impatto del Regolamento generale della protezione dei dati, la gestione delle informazioni per azioni efficaci e la necessità di avere una visione unica del cliente.
Raccolta dei feedback e privacy
L’esperienza sempre più omnicanale, che spazia senza confini tra fisico e digitale, ha in sé l’opportunità della raccolta di feedback in ogni momento della relazione e il rischio di generare una mole di dati difficile da gestire. La maggior parte dei feedback che si raccolgono sono non strutturati, provengono da dichiarazioni spontanee, da post sui social, recensioni, conversazioni con i canali di assistenza. Per tradurre questa notevole quantità di dati in informazioni utili a personalizzare la relazione, a comprendere i comportamenti, a rendere più umane le interazioni occorre affrontare due problematiche. Una riguarda la capacità di interrogare i dati. Gli strumenti tecnologici disponibili possono macinare in poco tempo tante informazioni e le restituiscono in modo leggibile anche da chi non è un specialista di dati. Ma resta il fatto che occorre avere un approccio sistemico con obiettivi ben definiti per estrarre dai dati le informazioni che sono utili per gli scopi che si vogliono raggiungere. La seconda, ma non per importanza, riguarda la privacy, la protezione dei dati e la raccolta del consenso al trattamento delle informazioni. Il rischio di utilizzare dati per i quali non si ha l’autorizzazione a farlo è molto alto. Come si diceva nel precedente articolo, la consapevolezza dell’uso dei dati va diffusa in tutta l’azienda. Il rischio di utilizzare dati per i quali non si ha l’autorizzazione a farlo è molto alto. Occorre sapere come sono stati raccolti, quale informativa è stata data al cliente, quali consensi sono stati forniti. Nello stesso tempo non si deve pensare che tutto ciò sia un vincolo insuperabile. A dispetto di quello che spesso si pensa, il Regolamento generale sulla protezione dei dati è nato con lo scopo di favorire la circolazione dei dati e offre un framework normativo per farlo nel rispetto della privacy.
Un concetto che può essere di grande aiuto per affrontare in modo corretto il tema è quello della minimizzazione dei dati. In linea peraltro con uno dei principi fondamentali del regolamento, si utilizzano solo i dati strettamente necessari per l’obiettivo che si vuole raggiungere. Può sembrare complesso, ma è possibile farlo definendo un progetto accurato con obiettivi chiari, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali necessarie, analizzando il contesto e adottando strumenti adeguati. A questo proposito, in fase di selezione occorre prestare attenzione che i software permettano in modo nativo di rispettare la data privacy, soprattutto per quanto riguarda l’acquisizione dei consensi, la gestione delle informative privacy e la durata della conservazione del dato.
Visione unica del cliente e best next action
Fidelizzazione e personalizzazione sono strettamente collegate. Se conosco il cliente posso interagire con lui basandomi su quello che ha già condiviso con l’azienda. Questa conoscenza mi permette di scegliere il linguaggio, il canale e il momento più adatto per fare una nuova proposta, per chiedere un feedback o per informare di una novità. Gli strumenti più evoluti permettono di gestire questa complessità, seguire il cliente in tempo reale e di aggiornare gusti e desideri. In questo modo posso avviare conversazioni personalizzate. La precondizione è quella di avere una base dati unificata, che permetta di superare i grandi limiti imposti dai data silos aziendali, e di ottenere una visione univoca, olistica e uniforme.
In questo modo si possono creare profili digitali accurati, definire le audience sulla base di criteri utili all’azienda e orchestrare il journey, fino a definire un vero e proprio flusso che coinvolge i canali fisici e digitali, la tecnologia e le persone a contatto con il cliente.
Gli strumenti che abbiamo in mano stanno diventando sempre più potenti e nello stesso tempo il loro utilizzo diventa accessibile anche a chi non ha competenze specifiche di programmazione o analisi dei dati. Una tale situazione richiede che si diffonda la consapevolezza del dato, come abbiamo avuto modo di dire altre volte. L’apporto umano è sempre più strategico e oggi può esprimersi nella capacità di avere obiettivi specifici, di progettare le diverse esperienze lasciandosi guidare dai dati real-time e non da stereotipi o supposizioni, di lavorare in team trasversali individuando obiettivi comuni.
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