Gruppo Végé: vista unica del cliente per conversazioni personalizzate

La grande abbondanza di dati che le aziende hanno a disposizione può essere paragonata al supplizio di Tantalo, che nella mitologia greca simboleggia il tormento di qualcuno che ardentemente desidera qualcosa apparentemente a portata di mano, ma il desiderio è destinato a rimanere insoddisfatto per sempre. Approcciare un progetto di centralizzazione dei dati per costruire un’unica fonte di verità accessibile e una vista unica di ciascun cliente non è semplice ma neppure impossibile considerando le tecnologie di raccolta e analisi dei dati a disposizione. Il settore del retail sicuramente è quello che ha a disposizione una quantità variegata di informazioni, che spesso sono frammentate e poco utilizzate, ma molte realtà stanno intraprendendo la strada di una gestione efficace dei dati per trarre insight di valore.
Abbiamo incontrato Lorenzo Monzo, Digital Marketing Manager Gruppo Végé che si sta occupando del progetto di riunificazione dei dati provenienti dai diversi canali e punti di contatto per capire in che modo vogliono utilizzarli per creare una nuova relazione con il cliente. E siamo partiti chiedendo come stanno cambiando le strategie di fidelizzazione della grande distribuzione.
“Il tema della fidelizzazione è molto importante per la grande distribuzione. In passato, le leve classiche come prezzo, promozione, comunicazione e grandi cataloghi hanno caratterizzato il settore. L’obiettivo è sempre attrarre e mantenere i clienti nel proprio portafoglio, ma queste leve stanno perdendo di forza negli ultimi anni. I consumatori sono diventati più attenti e informati. Grazie alla facilità di accesso alle informazioni offerte dalle tecnologie digitali, i clienti sono ben informati sui prodotti che acquistano, specialmente nel mondo del food, dove c’è un’attenzione particolare alla provenienza, alla conservazione, ecc. I consumatori, a causa degli eventi degli ultimi anni come il Coronavirus, il cambiamento climatico e le guerre, cercano valori oltre al prezzo, alla promozione e all’assortimento. Il compito del retail è quindi quello di riflettere questi valori.
Il retail durante il Coronavirus si è trovato in prima linea, essendo l’unico comparto aperto per quasi un anno e i consumatori hanno riconosciuto questo ruolo fidelizzandosi a determinate insegne. In un primo momento, la fidelizzazione è stata indotta dalla prossimità, ma poi, quando la situazione si è stabilizzata, alcuni gruppi hanno intrapreso iniziative positive per la comunità e i territori, con azioni concrete. Questo è stato un elemento distintivo che ha premiato il Gruppo Végé come altri competitor.
Il nostro settore è sempre stato caratterizzato da un rapporto transazionale legato alla vendita. Ora ci sono tutti gli elementi per andare oltre a questo rapporto transazionale ed entrare in un rapporto più relazionale con il cliente. Però per farlo servono informazioni su chi è il cliente e azioni concrete che vadano a rompere i classici paradigmi su cui si è fatto affidamento fino ad ora”.
La mappatura dei customer journey non è più sufficiente per seguire l’evoluzione dei clienti, qual è la strategia di Végé per comprendere il cliente?
“Oggi il consumatore trova una serie di informazioni nel quale poi fa fatica a districarsi, a questo proposito ho trovato efficace la definizione di Google che ha chiamato questo luogo “messy middle”. In queste condizioni la metafora di customer journey potrebbe essere troppo semplicistica per rappresentare il percorso del consumatore. Il “messy middle” ci ricorda che non è semplice fare ordine e districarsi nel caos mentale di un consumatore. Anche quando si riesce a tracciare un percorso, la volta successiva potrebbe non essere più lo stesso. Di conseguenza, spesso si perde molto tempo cercando di identificare tutti i punti per mappare il customer journey, per poi rendersi conto che non è così semplice rimanere fedeli a questa mappatura quando si deve scaricare a terra un’azione di marketing. Inoltre, c’è il rischio di voler essere presenti in molti touchpoint, confondendo le idee del consumatore, soprattutto con il digitale, che dovrebbe essere uno strumento che facilita l’esperienza e non la complica. Oggi è frequente l’esperienza in cui c’è confusione tra il mondo fisico e quello digitale, con una comunicazione non sincronizzata tra le due realtà. Di conseguenza, si vive un’esperienza frammentata, che interrompe il percorso in determinati punti e induce ad uscire da quel percorso per entrare in un altro.
In Végé abbiamo iniziato a riflettere su come colmare questa mancanza di fluidità. Non abbiamo ancora una soluzione definitiva, stiamo procedendo con tentativi tenendo conto dei limiti organizzativi e di budget. Abbiamo deciso di concentrarci sul nostro target di riferimento, comprendere chi è, cosa fa, quali touchpoint utilizza e, di questi touchpoint, capire in quali siamo presenti e come migliorarli per facilitare l’esperienza. Una volta che avremo fatto bene questo passaggio, potremo anche iniziare a esplorare nuovi territori.”
Quali dati pensate di analizzare?
“Per le realtà omnicanale come la nostra, il problema non è reperire i dati. Abbiamo un’ampia scelta di dati di prima e terza parte. Il problema è piuttosto l’utilizzo e l’integrazione dei dati. Spesso, infatti, abbiamo visioni parziali dello stesso utente provenienti da fonti diverse, che non riusciamo a ricollegare. Di conseguenza, abbiamo più visioni di un cliente che non ci permettono di agire in modo intelligente. Personalizzare l’esperienza diventa difficile perché non riusciamo a unire le informazioni frammentate. Stiamo quindi lavorando per integrare i dati. Un processo complicato, poiché collegare dati che arrivano dai nostri database, dal sito web, dagli e-commerce, dai social media o da fonti terze, in modo da avere una visione più completa del cliente, è una sfida. Tuttavia, abbiamo deciso di intraprendere questa strada, anche se ci vorrà tempo e molto lavoro”.
Avete già ben chiaro cosa integrare?
“Stiamo procedendo per step, partendo dal punto vendita, che è il nostro dominus. Vogliamo estrapolare il più possibile da questo touch point, che oggi è fondamentale. Quindi consideriamo i dati di loyalty, le interazioni con i totem presenti in alcuni punti vendita, e integriamo le informazioni provenienti dal sito internet delle insegne, dall’e-commerce e dal sito corporate. Sembra forse banale, ma a volte si inciampa proprio su queste cose semplici. In un secondo tempo, vorremmo integrare i dati dei social media, tenendo conto delle regole sulla privacy. Infine, vorremmo anche integrare i dati di quelle insegne che hanno la loro app di riferimento, o quelli provenienti da collaborazioni con media o agenzie terze”.
L’obiettivo a tendere è quello di avere un’interazione one to one?
“Sì, perché quando si raggiunge una visione unica del cliente è possibile creare una vera e propria relazione. In questo caso, abbiamo gli elementi per proporre un prodotto o servizio personalizzato in base alle sue esigenze e bisogni. Tuttavia, il nostro primo obiettivo è creare questa visione unica per poi andare a identificare il nostro target di riferimento e eventuali target emergenti. Infatti, oggi sta emergendo una nuova generazione con bisogni diversi da quelli dell’attuale generazione, che viene identificata come i responsabili d’acquisto in Italia. Questi hanno anche altri modi di interagire e relazionarsi con il brand, quindi è necessario capire come comunicare con loro. Di conseguenza, si modifica tutto il processo di comunicazione e relazione col cliente, arrivando fino all’assortimento del punto vendita, fino al one-to-one”.
Voi avete una struttura articolata, molto presente sul territorio italiano, con insegne e punti vendita molto eterogenei, questa è una ulteriore complessità: in che modo pensate di essere utili anche ai singoli retailer?
“La nostra struttura è abbastanza estesa, variegata e complessa allo stesso tempo. I sistemi informatici, dalle casse alle barriere fino ai sistemi presenti nei centri di distribuzione, sono differenti tra loro, quindi anche omologare e trovare un linguaggio comune non è semplice. Abbiamo la fortuna di avere una compagine sociale abbastanza virtuosa: sono tutte aziende che hanno una storia importante nelle loro regioni e nelle loro aree di riferimento. Sono tutti segni identitari e quindi portano dietro anche un background molto importante. Noi cerchiamo di poter beneficiare di questo e di capire come migliorarci e aiutare loro a migliorarsi. Certo, non è semplice farlo perché da Regione a Regione i comportamenti e i modelli di acquisto cambiano anche sullo stesso target”.

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