Customer Self Service: si può fare!

Il tema del customer self service è diventato particolarmente dirompente proprio nell’anno del distanziamento sociale che ha visto un boom di accesso ai servizi di assistenza clienti. Il sovraccarico del canale telefonico ha accelerato il ricorso a sistemi automatizzati di risposta alle richieste di clienti. Le indagini indicano che i clienti si sono adeguati velocemente, per esempio, Forrester ha rilevato  che il 72% dei clienti preferisce trovare online la risposta alla propria domanda senza rivolgersi al call center per chiedere aiuto. Se i clienti hanno colto al volo i vantaggi di risolvere velocemente le proprie richieste con sistemi automatizzati, le aziende, invece, si sentono un po’ meno pronte, perché percepiscono la delicatezza di offrire un servizio che dia risposte soddisfacenti. Perché se è vero che l’82% dei clienti ritiene che il servizio funzioni bene quando ottiene la risposta immediata, occorre anche che questa risposta sia risolutiva e non interlocutoria, come qualche volta accade.

Tra gli strumenti del customer self service spicca l’utilizzo dei chatbot, che rispondono nelle chat dei siti web, attraverso i sistemi di messaggistica o, ancora, tramite le app.  I chatbot eseguono una varietà di servizi, come per esempio l’ordinazione dei biglietti per eventi, la prenotazione e il check-in negli hotel, il confronto di prodotti e servizi. Possono essere consultati per chiedere informazioni sullo stato dei propri ordini, per avere aggiornamenti sui servizi che si sono acquistati e così via. Sono davvero tantissime le situazioni in cui possono essere utilizzati i chatbot e allora vediamo su quali aspetti concentrarsi per realizzare un progetto che sia soddisfacente per il cliente, che migliori la qualità del lavoro dell’operatore e che renda più efficiente l’assistenza clienti.

3 requisiti che non possono mancare

Quali sono i requisiti che un customer self service deve avere per poter garantire un’esperienza positiva con il cliente? Possiamo definirne tre:
Il primo è quello della completezza e affinamento continuo. Prima di andare online con un chatbot occorre essere certi della sua capacità di risposta e questo si ottiene grazie a una knowledge base costantemente aggiornata e allo studio delle conversazioni vere dei clienti. È davvero difficile poter prevedere tutte le possibili domande che possono porre i clienti e il rischio è quello di mettere on line un chatbot che non sa rispondere alle domande più comuni. Rischio che si riduce sensibilmente se si parte dalle interazioni reali che i clienti hanno con gli operatori umani. In pratica, si tratta di estrarre le domande e le risposte reali, darle “in pasto” all’intelligenza artificiale, che può categorizzarle e raggrupparle, e con quelle addestrare il chatbot.
Un secondo aspetto, spesso trascurato, è la continuità tra i canali. Ovvero quando metto on line il chatbot devo essere sicuro che la knowledge base di riferimento sia la stessa di quella utilizzata dall’operatore umano o da un altro sistema automatizzato, in modo che le risposte siano sempre coerenti. Continuità vuole dire anche che se un cliente cambia canale per cercare la soluzione al suo problema, può riprendere la conversazione nel punto in cui si è interrotta perché il sistema ha registrato quali domande ha fatto, quali informazioni ha comunicato e quali risposte ha ottenuto.
Digital_transformationInfine, il terzo aspetto da curare è la capacità del chatbot di comprendere il contesto della richiesta del cliente. Una capacità fondamentale per creare un’esperienza positiva da parte dell’utente che quando interagisce con un chatbot lo fa per risolvere un problema specifico. Per questo ci sono sistemi che permettono di identificare in maniera univoca la necessità del cliente e di rispondere puntualmente sia utilizzando le informazioni personali dell’utente sia anticipando quelle che potrebbero essere le richieste che un utente con quel determinato profilo può fare.

Quando prevedere l’intervento umano

I chatbot sono strumenti utilissimi per il customer service, ma ci sono casi specifici in cui va previsto l’intervento di un operatore umano, quella che nel gergo si chiama escalation. Anche il chatbot meglio addestrato non può soddisfare al 100% le domande del cliente e non prevedere una via d’uscita vuol dire avere la certezza di creare un cliente insoddisfatto. Sono cinque i casi nei quali occorre prevedere in modo chiaro quando e in che modo la conversazione tra chatbot e cliente passerà a un operatore umano. Vediamoli nel dettaglio:

  1. Il chatbot non capisce bene la domanda e quindi dà risposte non congruenti. Può capitare quando la knowledge base è molto vasta, o il sistema non ha ancora imparato a distinguere la domanda perché intervengono troppe variabili. La soluzione immediata è sempre una rapida escalation all’operatore, mentre la soluzione permanente prevede di lavorare sulla parte di training per aiutare il chatbot tramite gli ambiti e i contesti a capire meglio la richiesta e quindi essere pronto a dare la risposta quando verrà ripetuta quella domanda.
  2. Il chatbot non ha la risposta perché non è prevista nella knowledge base. Anche in questo caso la soluzione immediata è la rapida presa in carico da parte di un operatore umano, per poi intervenire successivamente aggiornando la knowledge base per permettere al chatbot di rispondere correttamente nelle interazioni successive.
  3. Il chatbot risponde perfettamente ma il cliente non è soddisfatto. Accade anche questo e solo con l’intervento dell’operatore umano è possibile capire cosa non piace della risposta, chiarire il problema con il cliente e, successivamente, agire per modificarla anche nella knowledge base.
  4. Il chatbot non può rispondere perché il problema del cliente non esiste: accade tutte le volte che un cliente incappa in un bug non prevedibile della procedura e soltanto un operatore umano può gestire la situazione. In questo caso il passaggio all’operatore deve avvenire appena si capisce che l’interazione non sta funzionando.
  5. Il chatbot non risponde ad alcune specifiche domande perché si definisce a priori l’intervento dell’operatore umano, si parla in questo caso di escalation programamta. In fase di progettazione, si definiscono quali sono le domande che per la loro delicatezza richiedono l’intervento di un operatore. Per esempio, si può decidere che quando un cliente chiede informazioni sulla disattivazione di un servizio, che è meglio che intervenga subito un operatore che può approfondire i motivi e ricucire la relazione.

Come il chatbot migliora il lavoro degli operatori

I chatbot sono un ottimo strumento per rendere più efficiente il customer service e per migliorare il modo di lavorare dell’operatore umano. Vediamo insieme i tre principali aspetti. Il primo è il più intuitivo: tutte le domande ripetitive a basso valore che richiedono risposte meccaniche possono essere spostate sulla macchina. In questo modo l’operatore umano puà dedicarsi alle richieste più complesse migliorando il senso e il valore del proprio lavoro all’interno del customer service.
Il secondo riguarda il risparmio di tempo che si può ottenere utilizzando correttamente un chatbot in specifici processi. Per esempio, in un sistema di supporto alla prenotazione occorre raccogliere dati specifici come la data in cui è avvenuta la prenotazione, il codice, il nome di chi l’ha prenotata, magari il codice fiscale. In questa fase un chatbot  può occuparsi di questa fase e l’operatore umano intervenire solo nella fase di risoluzione della richiesta.
Infine, il chatbot può essere un’assistente intelligente del lavoro quotidiano dell’operatore. Sempre più spesso, infatti, vengono progettati chatbot che non interagiscono direttamente con il cliente, ma supportano l’operatore cercando nella knowledge la risposta adeguata. In questo modo i tempi si accorciano notevolmente e si è sicuri che la risposta è coerente ed omogenea con la policy aziendale.

Iscriviti all’Ask&Meet: L’era del customer self service

COMMENTI