Dall’home allo smart working: il ruolo dei contact center

Partiamo dal titolo “home working“. In questo periodo in cui ovunque spopola la parola “smart“, abbiamo proprio voluto enfatizzare questo passaggio.

Sarà bene che per il momento ci si concentri su quello che tutti stiamo vivendo, ossia l’home working, perché, lo sappiamo tutti, che di “smart” c’è davvero poco, per quanto tutti vorremmo che lo fosse.

Il lavoro agile o smart-working è stato definito nell’ordinamento italiano (legge 81/2017) come:

«una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Per pura completezza, e dovere di cronaca, oltre che per cultura personale, troviamo poi altre definizioni, meno istituzionali:

  • quella formulata da Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart working, Politecnico di Milano: “Smart working significa ripensare il telelavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio.
  • quella fornita dal Chartered Institute of Personnel and Development: “Lo Smart working è un approccio all’organizzazione del lavoro finalizzato a guidare una migliore efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi attraverso la combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, puntando sull’ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie e garantendo ambienti di lavoro funzionali ai lavoratori.

Non penso serva sottolineare altro: noi stiamo vivendo nell’era dell’home working, creato come conseguenza dal momento storico che stiamo attraversando.

Attenzione, voglio essere chiaro: nessuna accezione obbligatoriamente negativa, semplicemente la considerazione che non nasce come “smart” ma come adeguamento a ciò che è accaduto, poi la volontà comune di positività e di reagire ce lo ha fatto entrare nella testa di tutti come “smart”, associandolo quindi al significato “istituzionale”.

Ho usato la parola “adeguamento” già …  ma forse la parola migliore e più adatta e che mi piacerebbe lasciare a chi legge, è “resilienza”, ossia la capacità di reagire al cambiamento.

Questo è quanto abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo con la consapevolezza (più o meno evidente) che questo cambiamento ci ha portato e ci sta portando in una nuova era: non si tornerà indietro, le nostre vite sono cambiate. La resilienza porta all’evoluzione.

Consci di questo, se sono cambiate le nostre vite, sono cambiate anche le nostre aspettative, sia personali, che lavorative, che di tutti i giorni. In un mondo già cliente-centrico come era prima (quando parlo di “prima” ovviamente mi riferisco al periodo “pre-covid“), questo momento storico ha amplificato tale posizionamento e le aziende non possono far altro che adeguarsi.

E questo è avvenuto e sta avvenendo non senza fatica… La speranza è, senza ombra di dubbio, che ognuno si porti a casa la parte buona di questo percorso, ossia in primis, lo spirito di adattamento e la resilienza, ovviamente vissuta in modo molto diverso, da persone molto diverse, in ambiti molto diversi.

Osserviamo l’accaduto nei contact center ora: le aziende non hanno ovviamente (causa mole di traffico non predicibili) potuto gestire tutto attraverso il canale voce “tradizionale“, quindi hanno dovuto cominciare a utilizzare quella che si chiama deflection, ossia, per dirla in termini facili e meno “anglofoni“, l’invito a utilizzare canali alternativi.

Questo ha creato problemi da una parte e opportunità dall’altra.

Proviamo ad andare con ordine.

OPPORTUNITÀ: ce ne sono davvero tante e dobbiamo imparare a leggerle. Ne cito alcune a titolo di esempio:

  • l’approccio alla deflection verso il digitale
  • introduzione di tecniche di intelligenza artificiale e machine learning
  • la valorizzazione dei contenuti a supporto
  • il routing intelligente.

Se ben poniamo attenzione, in genere, a dire il vero, si tratta di approcci e tecnologie che erano già presenti, ma che hanno beneficiato di una spinta dovuta alla necessità: vedete come torna di continuo questo termine: la necessità.

CRITICITÀ: derivano, oltre dal cambiamento in sé stesso, dalla necessità del Cliente di empatia e connessione umana soprattutto a fronte di una difficoltà; tale mancanza è stata amplificata/alimentata dallo stesso tipo di mancanza vissuto nella sfera privata. Si pensi che gli attuali report di Gartner indicano percentuali di preferenza del canale telefonico come empatico intorno a valori del 57-58%.

Volendo sintetizzare il messaggio chiave potremmo riassumerlo così: l’importanza dei canali “alternativi”, visti non solo come asettici trasportatori di informazione, ma anche come dimostrazione di resilienza sia dall’erogante che dal consumatore.

Qualsiasi persona ha vissuto, volente o no, l’avvicinamento forzato al digitale: si pensi solo (si fa per dire) a tutte le famiglie che hanno dovuto affrontare la scuola digitale in casa, senza basi, mi vien da dire “senza rete”.

Ci siamo davvero accorti che il digitale è fondamentale: lo era anche prima, ma abbiamo sempre tutti (sia nella vita privata che lavorativa) preferito mantenere le nostre abitudini: era più facile.

Ora che non è più possibile, ci siamo resi conto dell’importanza del digitale (con impatti anche emotivi importanti sulla sfera emozionale e relazionale privata) e ci siamo resi conto che ne siamo completamente circondati.

Se è davvero così, provate a cercare su Wikipedia “digitale”, troverete tre significati di un aggettivo:

  • digitale – che attiene alle dita (es: impronta digitale, forma digitale, etc.);
  • digitale – tipo di rappresentazione numerica dell’informazione. Si contrappone ad analogica
  • digitale – genere erbaceo della famiglia delle Scrophulariaceae.

Eviterei di approfondire la prima e l’ultima, e mi soffermo sulla seconda, quella che ci interessa: si tratta di un aggettivo che per definizione è il modo di rappresentare una informazione.

Quindi, riprendendo il discorso in cui eravamo, abbiamo tutti scoperto non nuove cose in realtà, ma un nuovo modo di rappresentarle e di gestirle, e sapete di cosa stiamo parlando? Di informazioni che si scambiano in una relazione tra due entità (umane o macchine). Ci avevate mai pensato?

Se adesso andiamo a focalizzarci sulla parte dei contact center, questo prende una dimensione importante visto che la relazione stessa costruita sulle informazioni è al centro del business di tali strutture, che da un momento all’altro sono diventate il punto di accesso primario per i propri clienti, spodestando dal “trono” i punti fisici di accesso (penso alle banche con le filiali o i negozi fisici, o agli store).

Il call center è diventato importantissimo, è diventato brand, addirittura vitale in alcuni casi, perché ha permesso di mantenere (soprattutto attraverso la voce e il rapporto di relazione non totalmente self come può essere un sito e una app) una connotazione relazionale human-2-human, tema questo tanto caro a tutti noi in caso di “problemi” in genere e ancora di più in questo momento storico che stiamo vivendo.

Nei contact center si è sempre parlato di blending (in o outbound o tra diversi canali). Diciamo che siamo ad una nuova frontiera del blending forse… qualcuno lo chiama “blended AI” (riferendosi all’interazione mista in caso di intelligenza artificiale), e a me piace allargarlo ancora di più, in genere al blending tra human e non-human, anche quando non necessariamente è presente una forma di AI.

Servono, e ce ne si è resi conto, soluzioni che aiutino la delivery non solo verso i clienti ma anche verso gli operatori: pensate alle difficoltà operative a cui quasi tutte le aziende sono dovute andare incontro per permettere questa nuova modalità di lavoro!

Abbiamo capito che l’attenzione va rivolta sì al cliente, ma anche all’operatore (consulente), supportandola con la tecnologia digitale in blending, appunto, in modo che l’operatore sia parte integrante attiva della soluzione, contribuendo ad una conversazione senza soluzione di continuità verso il cliente in primis, ma partecipando anche all’istruzione della knowledge necessaria da portare a beneficio comune, valore questo indispensabile visto la necessità di poter far lavorare le risorse anche da casa (dove gioco-forza non esistono figure di gestione come i team-leader o i supervisori).

Parecchio tempo fa, si parlava della trasformazione dei contact center in toto da centri di costo delle aziende a centro di profitto, quando si è cominciato a parlare di cross selling e di up-selling sui canali: bene ora lo stesso sta accadendo anche all’operatore sempre meno centro di costo, sempre più di valore.

Solo per essere molto concreto: provate ad immaginare ad una mamma di famiglia, che in questo momento storico si è trovata a dover conciliare quanto già faceva con il dover accudire il figlio, magari piccolo, a casa.

In questa situazione, un’azienda capace di remotizzare le postazioni, di valutare le curve di traffico e di concedere orari dinamici magari anche spostati verso fasce serali potrebbe ottenere:

  • da parte del dipendente soddisfazione per aver potuto conciliare lavoro-privato
  • da parte dell’azienda ottimizzazione degli SLA e delle coperture di turno
  • da parte del Cliente finale la soddisfazione per una erogazione di servizio migliore

Quindi uno scenario “win-win-win” su tutti e tre gli assi fondamentali dell’erogazione di un servizio di customer care (cliente, azienda, operatore).

Ancora uno spunto di riflessione dettato dalla volontà di concretezza.

Ascoltando il mercato e gli esperti di settore proviamo a guardare qualche numero. Partiamo dai numeri “grezzi” … quando ho letto questo studio ne sono stato davvero colpito, sia dai numeri che dalla semplicità di approccio.

Immaginiamo questo scenario reale:

si consideri che ogni lavoratore in smart-working produca in media 5 Mb di documenti al giorno e che occupi il 19% del tempo lavorativo in ricerca di informazioni. Facendo l’assunzione di un costo per impiegato di 4.000 Eur/mese e di una azienda di 50 impiegati, arriviamo con una semplice moltiplicazione a 38.000 Eur al mese, pari a ben 418.000 euro all’anno di costi.

Benissimo tutto chiaro… senza andare lontano, se solo migliorassimo l’efficienza di un 25%, sapete cosa significherebbe? Significherebbe (oltre a tanti altri aspetti nascosti e positivi, come governance, compliance e controllo) un risparmio annuo di circa 100.000 euro o, in termini di FTE, termine caro a chi si occupa di customer experience di più di 2 FTE “risparmiati”.

Possiamo trovare davvero allora razionali importanti anche di saving introdotti dallo smart-working! E come ben si innestano nel panorama dell’efficientamento sempre caro a chi deve gestire i customer care e i relativi KPI.

Per concludere, sempre rimanendo in perimetro contact center, due parole su quali possono essere gli spunti da non dimenticare relativi alle piattaforme a supporto.

Il tema dell’omnicanalità, del customer journey e di una armonizzazione in generale del contesto dell’interazione tra un cliente e un’azienda, sono temi noti e consolidati che nel tempo si sono fatti apprezzare all’interno di molte aziende… e su questo penso siamo tutti d’accordo…

La verità però è che solo al momento del “vedo” ci si rende conto del valore di tali approcci/impostazioni. Ora ci siamo arrivati, forse in modo troppo brusco e inaspettato, ma sono personalmente convinto che da queste esperienze, si potranno avere due aperture:

  • Chi si era in qualche modo preparato con soluzioni “adeguate”, avrà ora modo, guardando e indagando i dati concreti raccolti e facendo analisi, di evolvere e di ricavarne valore.
  • Per chi non era “pronto” si prospetta una chance incredibile, saltare a bordo di tutti i programmi di enablement (spesso incentrati e spinti valorizzati dal momento sul paradigma cloud) che i leader di mercato danno a disposizione in queste settimane/mesi.

Senza perdere il contatto con una consapevolezza importante: la Soluzione (con la “S” maiuscola) è incentrata sul corretto mix che comprende:

  1. una tecnologia abilitante (nella doppia accezione di cloud e ibrido a seconda delle esigenze aziendali)
  2. la definizione della modalità di erogazione del servizio (quindi di una parte un po’ più, passatemi il termine, consulenziale, e meno tecnologica)
  3. l’attenzione alle risorse interessate, siano esse umane o tecnologiche, calate nel loro contesto
  4. l’analisi dei dati che si sono raccolti/ si stanno raccogliendo in accezione “voice of the customer”

Quindi, volendo dare un’immagine: una ricetta a quattro ingredienti strettamente correlati e ben amalgamabili, nella costruzione del piatto perfetto, scelto e cucinato sulle necessità specifiche del Cliente, unico nel suo genere e nel suo business, direi da “contact center stellato”: tecnologia “smart”, consulenza, focus sulle risorse e attenzione ai dati.

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Articolo a cura di ComApp

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