Meglio un contenuto adesso o un’experience domani?

Chi si fermi a guardare a che punto è arrivata la relazione tra Brand e Clienti potrebbe rimanere stupito del grado di capillarità, personalizzazione e tempestività a cui si è giunti.

Il Customer engagement non è mai stato così accurato e tempestivo; la Customer Experience mai così targettizzata. Gli studi di settore hanno evidenziato negli ultimi anni l’implacabile vantaggio in termini di ROI avuto dai Brand che hanno saputo investire in CX entusiasmanti. Tuttavia il giudizio dei clienti sulle esperienze di coinvolgimento dei Brand è molto diverso dall’autovalutazione che i Brand fanno. E più si approfondiscono le aspettative degli uni e degli altri più il divario tra ciò che si crede di sapere e ciò che realmente viene vissuto si amplia. Da questo nasce la domanda paradossale del titolo: meglio un contenuto adesso – ossia meglio concentrarsi sull’erogazione di un servizio consistente e puntuale, per quanto semplice – oppure progettare esperienze entusiasmanti fa ancora la differenza?

Forse la risposta sta in una comprensione più profonda e adeguata del termine experience, e in generale in una comprensione più profonda e adeguata di tutti i protagonisti, gli strumenti e i processi coinvolti al fine di colmare il gap tra ciò che si può fare con le tecnologie a nostra disposizione e ciò che è necessario fare.

L’importanza della Customer Experience

Diversi fattori hanno determinato l’importanza dell’experience e uno è certamente il mercato globale popolato da un numero crescente di prodotti con un valore intrinseco analogo. Ciò ha favorito un comportamento di acquisto basato sul tentativo di ridurre la dissonanza, favorendo la scelta di prodotti noti o di prodotti che si distinguessero non per ciò che erano veramente ma per i valori intangibili a cui erano associati o, appunto, per i servizi che vi erano connessi.
Prendiamo un esempio noto: la benzina. Anche se fossimo edotti su quale benzina contiene ottani più raffinati (e dubito che la nostra attenzione si soffermi sul dettaglio) l’informazione non gioca un ruolo decisivo nel ridefinire le priorità: continueremo a scegliere il distributore più vicino, il più economico o quello abituale a seconda del tipo di consumatore che siamo.  Non a caso a partire dagli anni ’10 le principali compagnie petrolifere hanno orientato la comunicazione sulla qualità dei servizi ancillari, sulla professionalità dei gestori dei distributori di benzina e sui programmi di fidelizzazione attraverso regali per la cura delle persone o dei loro hobby. In una parola, sull’esperienza che il cliente aveva all’interno dell’area di servizio. La strategia ha finito per riguardare anche quei piccoli bar presenti nelle stazioni di servizio, via via sostituiti da veri e propri “empori” dall’arredamento studiato al dettaglio; sono stati coinvolti light designer, psicologi del comportamento, esperti del colore legato al marketing e anche la qualità e la varietà degli oggetti in vendita è aumentata, arrivando a comprendere food & beverage, libri, oggettistica per l’auto, la telefonia, la cura del corpo e la casa; i giochi, i vestiti, gli occhiali da sole, i tabacchi…
La valutazione di un prodotto si è arricchita della valutazione dell’esperienza che l’acquisto di quel prodotto comportava e così la benzina “migliore” ha smesso di essere considerata il “carburante che al minor costo fa percorrere il maggior numero di chilometri senza arrecare danni al motore”, diventando il carburante servito da uno staff la cui gentilezza e competenza erano più elevate; quella nella cui prossimità vi era la più grande varietà di acquisti da fare per risparmiare il tempo di altre commissioni; quella gestita da un professionista pronto ad ascoltare i propri appunti e soddisfarli rapidamente.
Il medesimo slittamento di valori associati si è verificato anche nel digitale. Con una differenza: la velocità.

Il prodotto e il servizio digitali sono fortemente connessi con le tecnologie sottostanti. Come dimostrato dalla legge di Moore, la velocità con la quale una tecnologia raggiunge gli obiettivi prefissati è esponenziale anno dopo anno. Il che significa che agli albori di una tecnologia i progressi saranno pressoché impercettibili fin quando, a un dato punto della curva esponenziale, s’inanelleranno una serie di successi tali da accelerare il progresso in un modo che può diventare insostenibile: troppo veloce perché i cambiamenti siano compresi e gestiti. Se vi suona familiare, non è per caso.

I brand e la relazione con il Cliente

Per diversi anni la trasformazione digitale ha guidato i Brand a esplorare nuove frontiere della relazione con il cliente, cambiando radicalmente il proprio approccio. Un solo dato è più significativo di molte parole: fino alla diffusione capillare dei pc e all’esplosione degli smartphone always-on un Brand che decidesse di sbarcare in tv con uno spot raggiungeva circa l’88% dei clienti e dei prospect; la frammentazione del pubblico su canali digitali, device differenti, piattaforme on line, broadcaster a pagamento ha polverizzato il numero di spettatori-clienti costringendo le business unit di marketing di tutte le aziende a dare loro la caccia laddove i propri consumatori volevano stare – e dove spesso stavano per non farsi trovare.

Non si è trattato solo di un cambiamento di strumenti ma di una rivoluzione nell’approccio: dall’esposizione del prodotto alla costruzione di un sistema di valori, significati ed emozioni che giustificassero l’invasione dello spazio altrui. La centralità del cliente non è stata una scelta, ma la presa di coscienza di uno stato di cose. Sulla scorta di queste considerazioni “storiche” e dei risultati ottenuti, il design di esperienze sempre più personalizzate e coinvolgenti sembra una strada segnata. Tuttavia accade spesso in questi momenti di exploit tecnologico che l’entusiasmo con cui si è corsi a esplorarne i limiti determini una battuta di arresto, un ritorno al passato. Alcuni studi, tra cui spicca Predictions 2019 di Forrester, mettono in guardia sui risultati ottenuti dalle aziende statunitensi che nel corso del 2017 hanno investito nella CX. L’89% dei professionisti intervistati sostiene che la spesa non corrisponde a un ROI adeguato e Forrester si spinge a ipotizzare che il 20% delle aziende abbandoneranno strategie di CX per tornare a una politica di riduzione dei prezzi.

La domanda di questo articolo non suona così scontata: se la CX è stata una strategia di successo negli ultimi anni non è detto che lo rimarrà nei prossimi; altre strategie potrebbero tornare in auge, in forma classica o rivista come accade per la fluttuazione del prezzo di vendita per un prodotto/servizio in base, per esempio, al numero dei follower del proprio account Social; o all’attenzione crescente sul contenuto.

Tuttavia per trovare risposta occorre spostare lo sguardo altrove; guardare al problema in termini di opportunità. Se è vero che sono aumentati i Brand che offrono prodotti simili è altrettanto vero che è aumentato il mercato dei consumatori e che l’unica caratteristica unificante è la loro pluralità. La differenza dei bisogni, delle aspettative e dei comportamenti necessita di orientarsi verso una strategia ad personam basata sulle note classificazioni e su innovative metriche emergenti dalle attività di Social Listening e web monitoring. Anche qui però un dato spiazza un modo di ragionare lato-Brand che forse sta diventando meccanico e, quindi, vagamente astratto. Il Cx Trends Report di InMoment evidenzia che il 70% dei consumatori preferirebbe essere direttamente interpellato dal Brand. Di contro, solo il 26% dei Brand dichiara di avere uno scambio di informazioni con i propri clienti. Il gap è significativo non solo in sé, ma anche perché rivela la distanza tra ciò che si ritiene di sapere e come effettivamente stanno le cose. È sintomatico (oltre che rafforzato da altri dati come quello che riguarda l’importanza che per i Brand rivesta l’essere a conoscenza del nome del cliente (79%; mentre solo per il 46% dei clienti è importante) che chi dovrebbe progettare un’esperienza personalizzata conosce così poco delle aspettative delle persone per cui l’esperienza è progettata.

In un contesto simile è necessario chiedersi cosa sia un’esperienza entusiasmante per il cliente – perché le sorprese potrebbero continuare fino a scardinare le idee preconcette che ci orientano. Quando Netflix cominciò la sua epopea, la caratteristica del suo servizio era di consegnare un dvd in un punto fisico vicino al cliente. Nel mercato nuotavano player enormi come Blockbuster che offrivano una scelta tendente all’infinito e avevano riempito i loro store di vendita di popcorn, bibite e altri prodotti. Sappiamo come è andata a finire – e possiamo trarne una lezione sulla differenza tra ciò che significa coinvolgente per il cliente e cosa per l’idea del cliente che gli studi di settore e l’esperienza delineano.
La storia dei prodotti di successo è piena di questi esempi, il termostato Nest e, più recentemente, l’ascesa di una nuova compagnia telefonica, ribadiscono il medesimo concetto. La sfida da raccogliere è quella della comprensione. Occorre prestare particolare attenzione alla scomposizione analitica dei processi e agganciare le singole, concrete aspettative per sviluppare soluzioni tecnologiche che supportino l’esperienza di acquisto e consumo. Soluzioni che devono tenere conto anche di un altro aspetto: la fattibilità. Per quella stessa legge di Moore citata sopra, equipaggiamento e ammodernamento delle infrastrutture hanno proceduto a balzi. Manca una rete coerente e armonica e non tutti gli operatori del settore dispongono di risorse adeguate. Compito delle società che si occupano di design di servizi e sviluppo di soluzioni come il Gruppo Activa è, dunque, quello di portare un’innovazione sostenibile capace di integrare anche in contesti tecnologici in evoluzione. L’Intelligenza Artificiale è la risorsa più preziosa in questo senso, così come l’approccio omnicanale.

Le sfide di oggi e di domani

Appare evidente infatti che per raccogliere la sfida del momento serva agire su un doppio binario per costruire esperienze veloci, sicure, intuitive ed efficaci per il cliente o il cittadino da un lato, e per rendere fattibili le soluzioni lato azienda. L’omnicanalità garantisce il primo risultato, rendendo il consumatore libero di iniziare, continuare e concludere un’attività su diversi device in modo fluido. Ma l’omnicanalità è una risorsa anche per le aziende che possono uniformare le proprie metriche e raccogliere dati coerenti, non frammentati sui diversi device. La difficoltà a ricostruire una lettura di senso e valore a partire da dati parziali è confermata da un dato dello studio “Closing the CX Gap: Customer Experience Trends Report 2019” di Acquia che riporta come il 74% degli operatori del settore nel mondo ritengono che la tecnologia abbia reso il compito dell’analisi dei consumatori più complesso. Responsabili di quest’esito contro intuitivo sono i numerosi tools e data streams che lavorano simultaneamente su diversi touchpoint o piattaforme digitali, rendendo complicata la sintesi.

Lato azienda invece, l’Intelligenza Artificiale accelera prestazioni e, soprattutto, abilita innovativi modelli nella relazione con il cliente. Non parliamo solo dei Virtual Agent che hanno già dato prova del loro valore in molteplici contesti, ma di nuove piattaforme ibride capaci di integrare le tecnologie precedenti implementandone le prestazioni e consentendo lo scambio dati tra di loro. In un mercato in cui nell’ultimo anno il 62% delle aziende a livello globale ha già aumentato gli investimenti con margini anche superiori al 25%, avere soluzioni scalari che tengono conto del reale equipaggiamento tecnologico è imprescindibile.

Il Gruppo Activa ha lavorato alla costruzione di una piattaforma ibrida che pone in relazione agenti umani e virtuali per fornire un servizio personalizzato ed efficiente a ciascun tipo di consumatore, per ciascuna evenienza. Il sistema supera gli attuali limiti di rigidità degli assistenti virtuali e aggira la questione dei servizi conversazionali, disponendo di una doppia modalità di utilizzo che rende il servizio precipuo in ogni circostanza.
Una soluzione innovativa che riesce a garantire una piena accessibilità dei servizi ai clienti senza costringere l’azienda a rivoluzionare il proprio asset tecnologico. Uno scenario capace di trasformare il modello di relazione con il cliente offrendogli non solo un numero maggiore di touchpoint ma anche un nuovo modello di relazione, adeguato alla pluralità di consumatori – perché un’esperienza non è entusiasmante quando lo dice il Brand, ma quando aderisce a ciò che il cliente desidera.

Marco Borgherese
Vicepresidente Gruppo Activa

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