Nuove competenze: fabbisogni e sfide per le imprese

Fenomeni come la globalizzazione e la rivoluzione digitale hanno radicalmente cambiato la sostenibilità del paradigma economico: l’innovazione di prodotto può oggi non essere più sufficiente per difendere vantaggi competitivi messi a rischio da fenomeni quali la globalizzazione e la rivoluzione digitale. Per rispondere a questi cambiamenti un numero sempre crescente di aziende manifatturiere ha rivoluzionato la propria offerta, espandendo il proprio portafoglio di servizi al cliente e, in alcuni casi, rivoluzionando il proprio modello di business. L’attuazione di questa strategia, detta servitizzazione, si manifesta oggi anche grazie al supporto di nuovi strumenti e tecnologie che rendono possibile servizi sempre più efficaci ed efficienti lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti.

Le nuove tecnologie digitali, disponibili a prezzi sempre più accessibili (anche) alle PMI, stanno infatti agendo in modo così trasformativo sui prodotti e sulle modalità operative per realizzarli (processi), da innescare una vera e propria nuova rivoluzione industriale. In questo contesto si innescano quindi i rapidissimi processi di trasformazione che stanno investendo l’economia globale (come per l’appunto la service transformation, la digital transformation, la sharing economy, per non citarne che alcuni). Tali trasformazioni stanno però non solo cambiando lo scenario economico-produttivo, ma stanno radicalmente modificando il lavoro e le esigenze di persone e competenze da parte delle imprese.

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Il contesto

Quindi è più che mai necessario approfondire questo fenomeno per poterlo affrontare in maniera efficace, ed è importante supportare le imprese nel capire quali sono le figure/competenze più interessanti, come e dove trovarle.

Comprendere i processi di trasformazione e sviluppare le giuste competenze

Per prima cosa, l’azienda deve oggi sviluppare una comprensione dei processi di trasformazione che stanno investendo l’economia globale (digital transformation, sharing economy, green economy, per non citarne che alcuni) al fine di realizzare un salto culturale che porti a rinnovare l’organizzazione in tutti i suoi aspetti (competenze, risorse, processi, strumenti, ecc.). Analizzare e stabilire le competenze chiave per il futuro è quindi un elemento inevitabile per la competitività delle imprese nel nuovo scenario economico-produttivo. Infatti, quello che si sta vivendo oggi è effettivamente un cambio di paradigma radicale del modo di fare “business”. Non solo i tradizionali modelli B2B si sono evoluti, avvicinandosi molto ai modelli B2C; oggi sempre più anche le tradizionali aziende manifatturiere si ritrovano a lavorare con modelli B2Person (B2P), in cui il cliente è interessato solo all’utilizzo e non al possesso del prodotto in sé. Ecco perché è quindi fondamentale per l’azienda acquisire i talenti, che siano anche in grado di parlare la stessa lingua del cliente. Se infatti tradizionalmente le competenze si sono concentrate sugli aspetti produttivi, oggi la necessità di instaurare rapporti sempre più stretti e duraturi con i propri clienti rende necessario sviluppare nuove competenze relazionali per le persone che operano soprattutto nelle fasi iniziali e finali del ciclo di vita.

Allo stesso modo, sebbene l’elemento centrale della trasformazione in atto sia rappresentato dalle nuove tecnologie digitali, non è sufficiente possedere le sole competenze tecniche, bensì occorre sviluppare nuove competenze più soft che permettano di sfruttare appieno i vantaggi derivanti da queste tecnologie, acquisendo quindi una nuova e più dinamica attitudine al cambiamento. Saper gestire il cambiamento significa quindi oggi per le aziende saper gestire la riqualificazione delle persone, che possono continuare a rappresentare un valore aggiunto se e solo se opportunamente coinvolte e (ri)formate. Il concetto di riqualificazione però, per quanto importante, non è sufficiente: per cogliere appieno le opportunità della trasformazione in atto è necessario che le aziende investano anche nell’acquisire nuovi talenti che siano in grado di ricoprire ruoli quasi inesistenti fino a pochi anni fa. Ne sono un esempio figure legate al mondo web e social, come l’e-commerce manager (responsabile delle vendite online e dell’elaborazione di strategie per il lancio di un prodotto o di un servizio online), il digital strategist (che decide le strategie di web-marketing e social), il digital project manager (responsabile della gestione dell’intero ciclo di vita di un progetto basato sulla comunicazione digitale), il social media manager (che deve ottimizzare la presenza di un’azienda sui social) affiancato dal social media analyst (che studia il ritorno dell’investimento sui social media), o ancora figure più ampie, come il digital marketing manager (che ha il compito di gestire e ottimizzare le interazioni digitali con i propri consumatori e prospect attraverso i canali social, web e mobile, nel rispetto degli obiettivi di vendita e marketing e coerentemente con la brand reputation dell’azienda).

Altro asset fondamentale di questa trasformazione è rappresentato dai dati e dalle informazioni oggi disponibili per le aziende. Similmente a quanto detto per le nuove tecnologie, anche in questo caso l’investimento in tecnologie e strumenti deve essere affiancato da un forte investimento in risorse e competenze. Infatti si rendono oggi necessarie nuove figure, come il business analyst, in grado di utilizzare i dati a disposizione al fine di identificare le esigenze di business dei clienti per determinare le soluzioni più adatte; nel nuovo “mare di dati”, l’azienda deve essere in grado di selezionare quelli importanti, sintetizzandoli per poter prendere decisioni. È infatti necessario saper trattare e analizzare oggi grandi quantità di dati di natura eterogenea, per creare valore dalle informazioni estraendo una logica di processo multidisciplinare. Servono quindi figure quali il data analyst o il data scientist. Altro elemento cruciale è poi quello legato alle attività di protezione, sicurezza e normativa legate alle informazioni.
Come detto, queste figure non devono avere solo competenze tecniche, ma anche competenze che si collocano all’intersezione tra tecnologia, marketing e management, poiché hanno il compito di leggere i trend socio-culturali, individuare, aggregare ed elaborare fonti di dati, interpretare le informazioni raccolte e darne una prima traduzione a livello di impatti di business.

Non solo, però, riqualificazione di ruoli “operativi”: anche la c-line dell’azienda si trova oggi costretta a cambiare, al fine di includere nuove figure quali il chief digital officer, che ha il compito di sovrintendere (e coordinare fra loro) tutte le funzioni dell’azienda che hanno in qualche modo a che fare con il mondo dei canali digitali, dai social network ai dispositivi mobili, dalle piattaforme di commercio elettronico sino ai sistemi informativi interni; il chief innovation officer, che ha il compito di proporre modelli innovativi per il business dell’impresa, affinché sfrutti al meglio la rivoluzione digitale; o ancora il chief security officer, ovvero una figura tecnica che ha l’incarico di proteggere la sicurezza delle informazioni e dei sistemi dell’azienda.

Quindi appare chiaro come le trasformazioni in corso e la nascita di un nuovo ecosistema digitale non possano essere considerati come semplici strumenti. Sono trasformazioni che stanno rivoluzionando l’ambiente di lavoro (e di vita), e che richiedono quindi anche una trasformazione (spesso significativa) di sensibilità, attitudini e comportamenti, un adattamento non superficiale delle pratiche  di lavoro. Un cambiamento quindi a 360 gradi dell’impresa, dove sempre più le nuove competenze rivestiranno un ruolo cruciale in grado di fare la differenza tra l’insuccesso e il successo.

Federico Adrodegari
Laboratorio di ricerca RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises), Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale, Università di Brescia.

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