Protocollo Call Center: il governo coinvolge le aziende committenti

Dopo la norma approvata in legge di bilancio (art.1 comma 243) – che ha introdotto nuove misure di contrasto alla delocalizzazione dei servizi in Paesi extraeuropei, un inasprimento delle sanzioni previste in caso di inosservanza e la sterilizzazione del costo del lavoro per la Pubblica Amministrazione –, continua l’impegno del governo rivolto al settore dei Call Center: giovedì 4 maggio è stato infatti firmato, alla presenza del premier Paolo Gentiloni e del ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda, il Protocollo Call Center. L’accordo ha coinvolto 13 imprese private committenti – Eni, Enel, Sky, Mediaset, Tim, Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Intesa SanPaolo, Unicredit, Poste Italiane, Ntv e Trenitalia – che, insieme, rappresentano il 65% del settore sulla base del fatturato.

I punti chiave del Protocollo Call Center

Il Protocollo sottoscritto dai 13 committenti big, aperto ovviamente a ulteriori adesioni, avrà una durata di 18 mesi, con rinnovo Protocollo call centertacito e verifica annuale dei risultati.
Il documento intende innanzitutto assicurare agli utenti un servizio di Call Center dagli elevati livelli qualitativi, garantendo

  • chiarezza, semplicità di fruizione e correttezza delle informazioni fornite;
  • certificazione linguistica B2 per gli operatori fuori dal territorio nazionale;
  • procedure capaci di garantire tempi di risposta definiti;
  • applicabilità della normativa nazionale sulla privacy anche per i servizi erogati all’estero;
  • rispetto delle fasce orarie individuate dalla normativa o dalle autoregolamentazioni vigenti.

Il secondo punto, considerato da molti il cuore del testo approvato, è la limitazione della delocalizzazione dei servizi al di fuori del territorio italiano: il Protocollo Call Center stabilisce infatti che il 95% delle attività effettuate in via diretta venga svolto in Italia entro 6 mesi dalla stipula e che, per i nuovi contratti, almeno l’80% dei volumi in outsourcing sia effettuato su territorio nazionale – primo caso in Europa, fermo restando il vincolo a non ridurre la quota attuale qualora risulti superiore a tale valore.

È stata inoltre stabilita l’esclusione delle offerte dei fornitori che prevedono un costo del lavoro orario inferiore al parametro di riferimento, calcolato in base all’art.23, comma 16, del decreto legislativo 18/04/2016 n.50, agli accordi con le organizzazioni sindacali o ai contratti nazionali applicabili alle imprese di Contact Center.

Per quanto riguarda le tutele sociali, infine, i committenti che hanno aderito al Protocollo Call Center si impegnano a prevedere strumenti di tutela analoghi a quelli presenti nella norma in relazione alla clausola sociale, oppure a valorizzare le azioni dei fornitori volte a garantire l’applicazione di strumenti di tutela dei lavoratori analoghi a quelli previsti dalla norma.

Call Center in Italia: lo stato del settore

Il settore dei Call Center in Italia sta affrontando una crisi strutturale di redditività che ha causato una perdita nei ricavi pari al 10% in 5 anni. Attualmente, tra dipendenti e collaboratori esterni, si contano circa 80.000 risorse impiegate nel settore, caratterizzato nel nostro Paese da un costo del lavoro che incide per il 76% sui guadagni e da un turnover estremamente basso, che comporta un’elevata anzianità di servizio e, di conseguenza, una difficile ricollocazione delle risorse.

La firma del Protocollo Call Center tra committenti è il secondo step del percorso iniziato a gennaio di quest’anno per cercare di riequilibrare un settore davvero molto delicato. Nei prossimi mesi sarà avviato un tavolo tecnico per il monitoraggio dei risultati (per quanto riguarda la normativa introdotta a inizio anno è stato registrato un sensibile potenziamento delle attività di monitoraggio e sanzione), verranno definiti i requisiti oggetto di certificazione sulla base dell’esperienza maturata con il presente Protocollo e si procederà alla costruzione di un modello di certificazione delle buone pratiche di riferimento per il settore.

Le dichiarazioni dei principali soggetti coinvolti

Secondo il premier Paolo GentiloniQuesto è un impegno che fa bene al Paese, lancia un messaggio di tutela del lavoro, di protezione sociale, di responsabilità sociale delle imprese che è di particolare rilievo e attualità. Quello dei Call Center è un settore che, da un lato, è stato spesso rappresentato come dominato dalla precarietà. Ma dobbiamo essere consapevoli che è un settore ad altissima intensità di lavoro: abbiamo 80mila persone che ci lavorano in Italia. Dall’altro siamo di fronte a una evoluzione di questo settore che è difficile da definire compiutamente. Si vedono alcune tendenze ad avere un lavoro meno occasionale e transitorio, più stabile e, contemporaneamente, a esigere più qualità e specializzazione nel lavoro fatto”.

Soddisfazione per la firma del documento manifestata anche da Asstel e Assocontact; la prima ha dichiarato che si tratta di uno “strumento del tutto nuovo, anche nell’ottica di un approccio responsabile al business” e si è definita “pronta a dare il suo contributo per arrivare a stabilire una politica industriale per i servizi di Customer Care, capace di offrire condizioni strutturali a sostegno della buona imprenditoria e della crescita di competitività, produttività e qualità”. Alla valutazione positiva del Protocollo Call Center il presidente di Assocontact Paolo Sarzana ha tuttavia unito l’auspicio di una vera riforma del settore, con una legge capace di far rispettare a tutti delle regole più stringenti per ristabilire l’equilibrio economico nel mondo dei Call Center.

Per il fronte dei sindacati citiamo infine le parole di Susanna Camusso, segretario generale Cgil: la firma del Protocollo “si iscrive nella necessità di mettere trasparenza nel sistema delle gare che ancora nel settore si basano sul massimo ribasso, cancellando diritti e realizzando dumping sulle condizioni salariali, cominciando invece ad affermare il rispetto dei contratti e il valore delle retribuzioni effettive e non dei minimi. Significativo è aver proposto un limite alle delocalizzazioni, anche se il nostro obiettivo è il contrasto totale, ma quantomeno si comincia ad affermare il principio. Serve poi coerenza e continuità, costruendo regole diverse anche in Europa, non subendo sempre il criterio del mercato unico regolatore. L’impegno che chiediamo ora al governo è che ci sia non solo un monitoraggio, ma un effettivo controllo del rispetto di questi impegni, e di continuare nelle scelte di regolazione e di affermazione delle tutele del lavoro in un settore dove trovano occupazione decine di migliaia di lavoratori in condizioni di vero e proprio sfruttamento, come rivendichiamo nella piattaforma unitaria dei Call Center che stiamo preparando”.

COMMENTI