Capgemini e la metamorfosi delle compagnie assicurative

Intervista a Raffaele Guerra, Senior Vice President Insurance Sector Leader Capgemini

raffaeleGuerraIn seguito alla pubblicazione e presentazione della nona edizione del World Insurance Report – indagine realizzata da Capgemini ed Efma, che quest’anno si è concentrata su Voice of the Customer, livelli di Customer Experience e futuro delle compagnie assicurative in un mondo sempre più interconnesso – Letizia Olivari ha discusso i risultati con Raffaele Guerra, Senior Vice President Insurance Sector Leader di Capgemini. Il WIR è ormai un punto di riferimento per l’industry assicurativa globale, e raccoglie al suo interno il punto di vista dei clienti grazie al Customer Experience Index, e quello degli assicuratori attraverso 180 interviste a executive appartenenti a più di 100 compagnie assicurative di 30 Paesi in Nord America, Europa e Asia (il 93% del mercato assicurativo globale in termini di raccolta premi).

Vorrei parlare con lei delle caratteristiche del nuovo consumatore, della nuova Customer Experience e della tipologia di relazione che oggi deve stabilirsi tra clienti e aziende – con particolare riferimento alle compagnie assicurative, ovviamente. Sembra che tutte le aziende ora siano impazienti di spostarsi sulla relazione virtuale e digitale, ma dall’ Osservatorio CX di CMI risulta chiaramente che il cliente non è disposto a rinunciare a quella fisica…

Confermo quanto lei dice, anche sulla base dell’indagine di Capgemini. Il nostro report – che quest’anno comprende anche uno speciale sul futuro delle assicurazioni nel mondo interconnesso – si basa su più di 15.000 interviste a clienti finali svolte in 30 Paesi, e uno dei due principali paragrafi che lo compongono riguarda proprio la Customer Experience. Il nostro Customer Experience Index è stato studiato in modo da garantire una misurazione il più possibile precisa e puntuale della Customer Satisfaction. Oggetto di valutazione sono quelli che noi chiamiamo momenti di contatto, sintesi di tipologia di operazione, canale attraverso cui questa avviene e prodotto per cui viene eseguita – per esempio, l’acquisto di una polizza vita in banca è un momento di contatto, così come la richiesta online di un preventivo auto. Abbiamo quindi chiesto ai clienti di valutare ciò che per loro è importante all’interno di tali momenti di contatto: ciò che è emerso da tale indagine è che in tutto il mondo la Customer Experience media è in aumento, e questo è un fatto sicuramente positivo, considerando anche gli sforzi sostenuti dalle compagnie assicurative negli ultimi anni per migliorare le relazioni con i clienti. C’è tuttavia ancora uno scoglio da superare, che consiste nell’insoddisfazione manifestata dalla cosiddetta generazione Y, quella dei giovani adulti di età compresa tra i 18 e i 34 anni: in tutte le regioni e per tutti i canali, infatti, il livello di Customer Experience per questa fascia di popolazione è sempre minore rispetto a quello delle altre generazioni, soprattutto se si considera il canale digitale.

Nel senso che lo usano e ne sono insoddisfatti?

Esatto. Paradossalmente, per quanto riguarda il digital, il livello di soddisfazione è maggiore nella fascia più alta di età, perché le aspettative sono più basse. Per un giovane adulto il discorso è invece molto diverso, in quanto basa le proprie valutazioni sugli standard garantiti dai grossi player di Internet: le compagnie assicurative fanno quindi sempre più fatica a soddisfare le sue aspettative. Un altro aspetto chiave è la multicanalità che contraddistingue questa generazione, nonostante la predilezione per i canali digitali: abbiamo per esempio chiesto ai cosiddetti frequent user – cioè coloro che contattano il proprio assicuratore almeno una volta al mese, una media altissima se consideriamo che quella mondiale è di poco superiore a due volte l’anno – quali canali utilizzano, e si nota chiaramente come gli appartenenti alla generazione Y tendano a utilizzare più canali differenti. Il vero problema è, di conseguenza, riuscire a offrire un’esperienza coerente su tutti i canali utilizzati.

Questo è un tema che sta molto a cuore a noi di CMI Magazine: già nel 2013 abbiamo organizzato un convegno in cui abbiamo cercato di portare all’attenzione delle aziende il problema della coerenza, già avvertito dai clienti…

Proprio questo è il punto: i giovani consumatori  vogliono fare cose diverse attraverso canali differenti, e chiedono alle agenzie di mantenere la stessa esperienza in tutti i vari passaggi. Se faccio un preventivo e poi vado a prendere l’auto, questo preventivo deve essere noto  all’agenzia, sennò c’è qualcosa che non funziona.

Questi sono fattori determinanti anche nel cambio di un’agenzia, oltre che nella scelta della compagnia?

Dunque, io le sto parlando del prodotto assicurativo così com’è attualmente. All’interno della nostra indagine, come le accennavo prima, facciamo valutare i momenti di contatto da 1 (molto basso) a 6 (molto alto); i clienti a valore aggiunto sono in realtà solo quelli che valutano la Customer Experience come molto positiva, poiché quelli che invece ne danno una valutazione media si comportano come coloro che hanno una Customer Experience negativa. I secondi sono clienti che tendono a lasciare il proprio assicuratore a fronte di un’offerta migliore, di un problema di prezzo oppure alle prime difficoltà incontrate durante la dichiarazione di un sinistro; inoltre, a differenza dei clienti con CX positiva, quelli con una Customer Experience media hanno una minore tendenza a fare referral, a promuovere il loro assicuratore presso parenti, amici e conoscenti, secondo le logiche social che conosciamo.

Non ne parlano né bene né male, non si sfogano neppure?

Esatto; i clienti a valore aggiunto invece fanno anche passaparola, di importanza fondamentale nella logica social, e comunque tendono a essere più fedeli. È perciò importante per le compagnie assicurative garantire elevati livelli di Customer Experience e avere così clienti ad alto valore aggiunto.

Ci sono differenze tra i vari rami?

Quello che abbiamo riscontrato grazie alla domanda diretta “Quale canale utilizzi adesso per acquistare una polizza, e quale utilizzerai nei prossimi 12 mesi?” è che sia la generazione Y sia le altre fasce di popolazione prediligono in maniera crescente l’utilizzo dei canali digitali; in particolare, la scelta Internet-PC aumenta maggiormente per le generazioni diciamo più anziane, perché di più facile utilizzo. In entrambi i casi gli altri canali rimangono stabili; il canale che perde di più, pur essendo il più utilizzato al momento, è l’agenzia. Quindi sicuramente il canale agenziale, diffusissimo in tutto il mondo – stiamo infatti parlando di dati a livello globale – deve e dovrà essere oggetto di una profonda revisione, poiché così com’è non può più funzionare.

Anche perché il rischio dell’agenzia è che, offrendo una consulenza di basso livello, non riesca a essere sufficientemente attrattiva nei confronti del cliente…

Esatto, però in questo momento non è ancora così: questo passaggio non si è ancora verificato. L’agenzia resta un canale generalista, in Italia ma anche in molti altri Paesi del mondo, e non c’è in generale la tendenza a chiedere consulenza in agenzia; anzi, molto spesso i clienti vi si recano solo per pagare il premio.

C’è qualche differenza particolare e degna di nota tra l’Italia e gli altri Paesi?

La differenza degna di nota riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie. Soprattutto nella seconda sessione abbiamo parlato di tecnologie legate all’IoT, e abbiamo individuato tre principali soluzioni di interesse assicurativo: smart car e smart home, wearable e driverless car. Il cliente italiano risulta avere un’attenzione più elevata della media per questo tipo di tecnologia – soprattutto i wearable, particolarmente interessanti dal punto di vista assicurativo. Abbiamo inoltre svolto una valutazione relativa alla disponibilità economica di affluent e non affluent: è emerso in maniera evidente che la ricchezza incide più dell’età sulla propensione ad adottare tecnologie basate sull’IoT. Gli affluent della generazione X (35-51 anni) sono in assoluto – rispetto alla media globale degli italiani con un capitale investibile superiore ai 250.000 euro – i più interessati a queste soluzioni, insieme agli affluent della generazione dei baby boomers (i nati tra il ’46 e il ’64). Questo conferma inoltre una serie di ricerche che documentano la penetrazione quasi doppia rispetto al resto d’Europa di questi oggetti in Italia. Un minor entusiasmo si registra invece nel nostro Paese per le driverless car: anche in questo caso è la generazione X la più attenta e interessata, con un netto divario rispetto agli altri consumatori. È importante però porre l’attenzione su un altro tema, che secondo me è proprio il nocciolo della questione: il prodotto assicurativo, così com’è, è poco attraente per un giovane adulto, per un nativo digitale, perché non c’è livello di ingaggio né di trazione, non ci sono i parametri classici della instant gratification e della feedback orientation. La vera rivoluzione, come abbiamo potuto constatare parlando con gli stessi assicuratori, passa attraverso la possibilità di utilizzare queste tecnologie, soprattutto quelle legate all’IoT, per creare servizi aggiuntivi di prevenzione, assistenza e informazione: informare vuol dire ingaggiare, e ingaggiare vuol dire comunicare, attendere un feedback, diventare un effettivo punto di riferimento. Il problema è appunto che attualmente l’Insurance in quanto industry non è un punto di riferimento per la nuova generazione. Le compagnie assicurative non devono però trascurare l’aspetto problematico della faccenda: nel momento in cui si allunga la catena assicurativa, anche altri possono promuovere la medesima iniziativa. Tra le principali minacce individuate dagli assicuratori, al primo posto in assoluto troviamo infatti Google, seguito da Amazon.

Quindi il segreto sta nel riuscire a mantenere l’autorevolezza della parte assicurativa pur affiancandole altri servizi…

Assolutamente sì. Però, quando allungo i miei servizi, trovo qualcuno che vuole fare altrettanto; quindi subentreranno la competizione o la cooperazione con altri attori in questo tipo di attività. Un altro aspetto che voglio segnalare, altrettanto interessante, è che le compagnie assicurative iniziano a indicare come competitor anche i produttori di manufatti. Pensiamo all’auto che si guida da sola: in questo caso la responsabilità non sarà più del conducente, bensì del produttore. Si sta quindi verificando un vero e proprio stravolgimento delle logiche consuete, che porta con sé l’idea che gli stessi produttori possano entrare nel business assicurativo.

Una prospettiva interessante…

Già. Parliamo di grossi player, ma di fatto c’è anche la possibilità che entrino piccoli player come le InsureTech, le startup assicurative, che sono in forte sviluppo; pensi che solo nel 2015 hanno raccolto più di 2 miliardi e mezzo di euro a livello globale, e nei 4 anni precedenti hanno raccolto 2 miliardi.

Quindi anche in Italia stanno crescendo progressivamente?

In Italia si sta verificando  un altro fenomeno: alcuni grossi gruppi assicurativi italiani hanno ufficializzato il corporate venture capital, perché la logica è che queste stesse compagnie o riescono a dar valore nell’ambito di un gruppo assicurativo oppure possono successivamente staccarsi e fare da diretti competitor, magari su nicchie di mercato. Nel report vengono analizzati anche ulteriori motivi, per cui in realtà potrebbero aprirsi nicchie di mercato anche come conseguenza della caduta di certe barriere d’ingresso tipiche del settore. Quindi il confine tra collaborazione e competizione diventerà sempre più labile.

In ambito informatico le compagnie assicurative sono sempre state considerate le più lente nel cambiamento; ora sono state costrette ad attivarsi.

Le compagnie assicurative sono caratterizzate da sistemi di elevatissima complessità, e proprio per questo è così difficile modificarli; di conseguenza sono spesso molto vecchi. Quello che stiamo osservando – poiché questo è il core business di Capgemini – è l’affiancamento di architetture innovative e tecnologiche, sistemi innovativi, elaborazione di dati, Big Data. Mettere insieme queste due realtà è quindi una delle principali sfide, perché una compagnia assicurativa può essere bravissima a elaborare dati che provengono dagli oggetti, utilizzare algoritmi avanzati, determinare con esattezza i profili di rischio, ma se poi non è in grado di far calare queste conoscenze e competenze nei processi di business non riuscirà mai a rinnovarsi completamente.

Questo serve anche per la coerenza, perché di solito il problema non interessa solo la comunicazione, ma affonda le sue radici nell’intero sistema…

Prendiamo in considerazione anche le tariffe: le tariffe auto, per esempio, sono determinate in base a criteri che probabilmente verranno stravolti col tempo. Anche in questo caso è un processo che riguarda da un lato i calcoli e dall’altro le professionalità, quindi secondo me si tratta di uno scontro generazionale tra professionalità diverse all’interno delle compagnie assicurative e di capacità di integrare i processi.

Mi sembra che in ambito CRM e capacità di ascolto del cliente le compagnie assicurative abbiano fatto dei passi avanti: è d’accordo con me?

Il tema del CRM è sicuramente oggi un tema molto caldo, dopo essere stato trascurato dalle compagnie assicurative per molto tempo. Si tratta di uno degli strumenti utilizzati soprattutto per supportare le tradizionali reti agenziali. La nuova tendenza è quella di spingere la gente fuori dall’agenzia, quindi vendere in mobilità: per far questo bisogna essere in grado di fornire gli strumenti adatti alla workforce, e avere un CRM capace di catturare anche una serie di informazioni circostanti, per poter formulare un’offerta propositiva e proattiva.

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