Umano, (mai) troppo umano: come cambia il lavoro con le nuove tecnologie

È ragionevole il panico che si sta diffondendo sul mercato dell’occupazione, causato dall’introduzione delle nuove tecnologie? Alcuni degli scenari delineati prospettano licenziamenti di massa e spersonalizzazione del rapporto di lavoro, dovuti al deserto creato dalla sostituzione dell’umano con la macchina, ma il fenomeno è tutto da capire e forse da ridimensionare, almeno per quanto riguarda la “scadenza” di questa apocalisse.Le nuove tecnologie stanno replicando oggi i processi di cambiamento che ogni rivoluzione tecnologica ha portato, e in maniera non dissimile rispetto ai mutamenti sopravvenuti grazie all’introduzione dell’automazione. Addirittura, secondo il McKinsey Global Institute, essi sarebbero comparabili al passaggio dall’economia rurale a quella industriale avvenuto agli inizi del XX secolo in Nord America, Europa e, più recentemente, in Cina.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, secondo un sondaggio di McKinsey, su un campione di top manager di aziende tecnologicamente avanzate, a causa di innovazione tecnologica e digitalizzazione potrebbe verificarsi la necessità di rinnovare quasi un quarto delle risorse aziendali da oggi al 2023. Si tratta comunque di un’opinione – seppur autorevole – che riguarderebbe soprattutto le grandi aziende multinazionali in Usa ed Europa.

Ciò su cui tutti concordano è la necessità di piani di riqualificazione e di training mirato per trasformare le competenze obsolete in conoscenze rivendibili nella nuova organizzazione aziendale. E – aggiungiamo volentieri – questa riqualificazione non deve tener conto solo del vantaggio economico nel costruire in modo utilitaristico un nuovo modello di dipendente, ma essere gestita con una forte attenzione all’uomo, per evitare un degrado etico interno.

Un “re-training” anche preventivo, quindi, per evitare di affrontare gli stessi problemi dopo pochi anni, che investa in primis la struttura scolastica. Il sistema educativo può essere modificato, inserendo programmi di formazione professionale sul modello tedesco, rafforzando così il sistema attuale di alternanza scuola/lavoro; una maggiore esposizione nei confronti del mondo aziendale da parte delle università favorirebbe poi anche l’inserimento successivo delle nuove risorse.

Dal punto di vista sociale, la transizione non sarà indolore, ma comporterà nelle persone un aumento dello stress fisico, emotivo e psicologico. Sarà quindi necessario introdurre misure tangibili da parte di autorità statali e management aziendali, quali supporto monetario alla formazione e alla potenziale discontinuità professionale, e anche un supporto di opinione “sociale” che non colpevolizzi i lavoratori per una obsolescenza o supposta inadeguatezza.

Fra i vari attori del mercato, le società di recruiting si trovano spiazzate nella capacità di selezionare le professioni collegate alle nuove tecnologie, non potendo far leva su un’esperienza codificata. Un’analisi del Sole 24 ore sugli annunci di ricerca del personale pubblicati da gruppi attivi nel settore retail/luxury (sia tradizionali che di e-commerce) ha evidenziato la “fame” di profili specifici in area digitale, anche incrociati con professionalità creative, come la figura del “digital stylist”. Se pensiamo inoltre all’introduzione dei camerini digitali pilota nella catena spagnola Mango, aggiungiamo anche un nuovo concetto di Customer Experience che nessuna scuola ha mai insegnato, e di cui nessuna statistica ha sancito i fattori di successo.

Piena sperimentazione quindi, che le aziende si devono accollare come se fosse una spesa di “Ricerca e Sviluppo”, per formare, mantenere e gestire questi professionisti nuovi o “ricondizionati” grazie alla tecnologia. Dal punto di vista delle responsabilità, l’azienda ha il dovere istituzionale di sostenere questi oneri di crescita innovativa, e le società di recruiting non possono permettersi di risultare impreparate nello stabilire i criteri di scelta del candidato perfetto.

Tecnologie innovative per il recruiting e nuove figure professionali

In un settore che funziona da trent’anni con modalità quasi immutate, le tecnologie innovative devono e possono essere anche uno strumento di aggiornamento delle procedure interne. Molte agenzie hanno già introdotto sistemi di videocolloquio/videocurriculum, valutazione del personale e formazione a distanza, analisi di dati aggregati sul clima aziendale e altro ancora. Dal punto di vista interno, anche l’inserimento di un CV nella banca dati mediante dettatura vocale o estrapolando parole/posizioni chiave potrebbe essere un fattore innovativo non trascurabile; l’importante è che poi chi sceglie curricula o seleziona candidati sia adeguatamente formato per valutare le esperienze senza pregiudizi “vecchio stile”.

Sulla creazione di nuovi posti e figure professionali, la speranza è che l’Europa possa far tesoro della presa di coscienza degli Stati Uniti: uno studio molto interessante di Russell Reynolds ha evidenziato infatti le professionalità – all’interno di ogni funzione – potenzialmente riqualificabili o a rischio. Il contenuto di molti lavori potrà essere “aumentato” dalla tecnologia, e dovrà quindi essere ridisegnato per migliorare le abilità – non solo tecnologiche – delle persone nel gestirli.

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Professioni a rischio/da ridisegnare/“Uniquely human” per funzione aziendale

Vi sono ruoli, invece, che non saranno danneggiati dalle innovazioni tecnologiche, e che anzi ne trarranno vantaggio; sono quelli che Russell Reynolds definisce “Uniquely Human”, che sono basati su una forte componente di interazione umana unita all’applicazione del “giudizio”. Per queste professioni l’innovazione tecnologica sarà un facilitatore di processi decisionali e di implementazione, ma non inficerà il livello di responsabilità che il singolo si deve assumere.

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Primi 10 ruoli professionali “Uniquely Human” (non a rischio)

Chatbot, vocalbot, assistenti virtuali: chi ha paura della sostituzione dell’umano?

Guardando ora alle applicazioni più diffuse, quali chatbot/vocalbot e assistenti virtuali, la grande paura è che la sostituzione dell’umano con la macchina porti alla scomparsa degli operatori di contact center. Il risultato è che molte aziende non adottano le soluzioni innovative, e rimangono quindi al palo per quanto riguarda il miglioramento della Customer Experience e l’ottimizzazione dei costi interni.

Un protezionismo di questo genere è inutile purtroppo, perché aiuta soltanto i concorrenti che hanno saputo prepararsi per tempo, inaugurando una politica non di sostituzione delle risorse, ma di loro riqualificazione. Sicuramente l’innovazione tecnologica avrà un impatto immediato sul numero di persone coinvolte nei processi, ma un progetto formativo accurato saprà portare specializzazione dei ruoli, aumento della soddisfazione del cliente, incremento dei ricavi e quindi una creazione di nuove figure aziendali, definita con il coinvolgimento diretto della divisione prodotto e delle risorse interessate.

Il cambiamento introdotto dalle nuove tecnologie non riguarderà solo i dipendenti, ma anche tutto il contesto dei professionisti che ruota intorno alle aziende e al mondo del lavoro, con l’annesso bisogno di normare nuove fattispecie, nella modalità già sperimentata con lo smart work. Quindi legali, commercialisti, consulenti dovranno adattarsi ai mutamenti e acquisire nuove abilità per restare al passo con le nuove esigenze – pensiamo alle eventuali controversie che potrebbero insorgere, per esempio, per la potenziale introduzione degli “esoscheletri” non solo a scopo medico, e alla conseguente ingerenza nella sfera dei dati sensibili personali, utilizzabili anche per scopi non nobili.

I buchi normativi saranno riempiti dalla consuetudine; la biometria vocale, per esempio, non ha un trattamento legale specifico ed esplicito, ma viene per analogia ricondotta e assimilata alle altre caratteristiche quali impronte digitali e iride. Il sempre crescente utilizzo delle tecnologie vocali da parte del settore finance creerà presto regole specifiche cui attenersi per una maggiore compliance e sicurezza, alimentando in questo modo anche la fiducia degli utenti finali.

Rosa Maria Molteni
Marketing and Communication Manager, Spitch Italy

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